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 2024  agosto 10 Sabato calendario

Marwan Barghouti, il «Napoleone» che dal carcere riesce a unire tutti i palestinesi


GERUSALEMME  I ritratti che coprono i muri di Kobar – dov’è nato, cresciuto e dove accettava su ordine del padre di aiutare i vicini a costruire un nuovo piano della casa per poter incontrare la futura moglie Fadwa – lo mostrano con i capelli ancora scuri, la barba rada ma nera, la faccia tonda. A differenza dell’ultima foto – risale a una decina di anni fa – in cui è smagrito e stempiato, sempre il più basso di tutti. Marwan Barghouti è chiamato «Napoleone» per la piccola statura e per le grandi ambizioni. La tuta marrone da carcerato è diventata la sua divisa e il suo simbolo, lo ha reso il capopopolo più influente tra i palestinesi, il nome che risuona quando c’è da trovare un successore: prima a Yasser Arafat, adesso ad Abu Mazen. Condannato nel maggio 2004 a cinque ergastoli (più un quarantennio) con l’accusa di essere coinvolto negli omicidi di cinque israeliani, è riuscito in questi anni a far uscire la sua voce e le sue idee dal carcere. Anche dalla cella – ci ha passato 22 dei 64 anni – è in grado di organizzare mobilitazioni che mettono insieme tutte le fazioni. È forse per questa ragione che Hamas ne chiede la liberazione nello scambio di prigionieri, per dimostrare alla società palestinese di combattere per tutti, anche per l’uomo più popolare dei suoi leader, l’unico che nei sondaggi stacca di molto i possibili candidati alla presidenza. L’estrema destra israeliana vuole che sconti la pena a vita, teme la sua popolarità, sostiene che in carcere sia diventato ancora più radicale: lo scorso dicembre, dopo i massacri del 7 ottobre, ha incitato a prendere parte «alla guerra di liberazione in corso».


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