Corriere della Sera, 10 agosto 2024
Delitto Biagi torna in libertà l’ex brigatista Boccaccini
Da ieri, il brigatista Simone Boccaccini, nome di battaglia compagno Carlo, è un uomo libero. La sera del 19 marzo del 2002, all’epoca idraulico per il Comune di Firenze, fece parte del commando che uccise, sotto casa, a Bologna, il giuslavorista Marco Biagi. Condannato a 21 anni, fra sconti di pena e buona condotta, ora è in libertà.
firenze Ha saldato il suo debito con la giustizia e ieri mattina è uscito dal carcere di Alessandria, dove stava scontando la pena per aver preso parte all’omicidio di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Br-Pcc la sera del 19 marzo 2002 a Bologna nei pressi della sua abitazione, in via Valdonica.
Simone Boccaccini, fiorentino, ora 64enne, era un idraulico dipendente del Comune di Firenze e sindacalista delle Rdb (poi radiato) quando fu arrestato grazie al lavoro investigativo dei poliziotti del «Gruppo Marco Biagi», all’epoca guidato dall’attuale numero due dell’Aise Vittorio Rizzi. Una volta arrestato, Boccaccini si definì «militante del Partito comunista combattente». Salvo poi – all’indomani della prima sentenza del processo Biagi – scrivere una letta ai giudici: «Non ho mai fatto parte di organizzazioni eversive, tantomeno delle Br, e la sera del 12 marzo feci solo una grande cortesia a Roberto Morandi (ex tecnico radiologo di Careggi, anche lui condannato per l’omicidio Biagi, ndr ) andando a prenderlo sull’Appennino tosco-emiliano dopo una cena con un suo amico».
Boccaccini – o anche il «compagno Carlo», come veniva identificato nei documenti interni delle Br – è uscito grazie a una riduzione di pena di 10 mesi e alla buona condotta in carcere ravvisata dal Tribunale di Sorveglianza di Alessandria.
Il suo nome è legato all’omicidio di Biagi, il giuslavorista che aveva chiesto più volte invano la scorta al Viminale. A sparare – secondo quanto dichiarato da Cinzia Banelli, la «pentita del gruppo» – fu Mario Galesi, morto in un conflitto a fuoco nel quale rimase ucciso l’agente di polizia Emanuele Petri. Era il 2 marzo 2003: quel giorno fu arrestata Nadia Desdemona Lioce e – col passare dei mesi – la Digos ricostruì chi fossero le Br-Pcc. In carcere finirono Diana Blefari Melazzi, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Cinzia Banelli e Simone Boccaccini.
Accusato di aver partecipato ai pedinamenti di Biagi a Bologna nei mesi e nei giorni precedenti l’agguato, Boccaccini il primo giugno 2005 viene condannato all’ergastolo dalla Corte di Assise di Bologna. Pena ridotta il 6 dicembre 2006 a 21 anni in Appello, sentenza confermata in Cassazione l’8 dicembre 2007. Una condanna arriva a Boccaccini anche per Massimo D’Antona: assolto l’8 luglio 2005 dall’accusa di omicidio, viene condannato a 5 anni e 8 mesi per associazione sovversiva (confermata poi in Cassazione il 25 giugno 2007). Il 18 maggio 2019 lo sconto di pena: via 10 mesi in virtù della continuazione tra le due sentenze. Quella relativa a Biagi e l’altra a D’Antona. La pena complessiva – decidono i giudici – ammonta a 25 anni e 10 mesi. «La circostanza che Boccaccini faceva attivamente pate delle Br dopo l’omicidio D’Antona, cioè in un periodo in cui la banda armata aveva già effettuato quel salto di qualità della propria attività criminale che prevedeva anche l’omicidio politico, induce ad affermare che già fin dalla commissione dei reati giudicati dalla Corte di Assise di Roma egli avesse previsto e delineato la commissione di ulteriori attività criminali connesse al programma eversivo, fra cui, quanto meno nelle linee essenziali, anche l’omicidio di un altro consulente del governo come il professor Biagi», scrissero i giudici di Bologna.
«I brigatisti che hanno ucciso mio padre devono scontare tutta la pena, altrimenti significa che non viene fatta giustizia un’altra volta, dopo il caso della mancata scorta al mio babbo», disse, alla vigilia del primo sconto di pena a Boccaccini nel 2019, Lorenzo, figlio di Biagi. Il «rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza», secondo l’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola, che fu poi costretto a dimettersi.