Corriere della Sera, 9 agosto 2024
Ferrero tra Calvino e Ariosto
In Valtellina, il torinese Ernesto Ferrero aveva legami di affetto particolari. Teglio è il paese di sua moglie Carla Sacchi e lì da sempre, per molti anni anche con le figlie Chiara e Silvia, passavano diverse settimane all’anno. A Teglio l’ex direttore editoriale dell’Einaudi, il regista di lungo corso del Salone del Libro, lo scrittore amico di Calvino e di Primo Levi, lo studioso di Gadda, l’appassionato di Salgari, era una presenza amata, socio onorario dell’Accademia del Pizzocchero e animatore di iniziative culturali.
Nel Palazzo Besta di Teglio, un anno fa, il pomeriggio del 17 giugno 2023, pochi mesi prima della sua morte, Ferrero aveva partecipato con Sonia Trovato e Gino Ruozzi a un incontro su Italo Calvino e Ludovico Ariosto. La sua lectio magistralis adesso viene pubblicata dalla Associazione Bradamante, una organizzazione di volontariato fondata nel 2008.
Perché Bradamante? Perché la Valtellina è una regione ariostesca: basta ricordare che una torre di Roncisvalle sorge nel comune di Chiuro, che nel Castello Masegra di Sondrio si trovano affreschi con otto scene dell’Orlando e che anche il cinquecentesco Palazzo Besta di Teglio contiene, nel Salone d’onore, magnifici dipinti che raffigurano ventuno episodi del poema.
La leggenda locale fa risalire a queste zone l’origine del paladino Orlando e il legame ideale con Ariosto è riassunto nella figura del grande filologo ottocentesco valtellinese Pio Rajna, studioso principe delle fonti del poema e nella personalità dello scrittore Gianni Celati, altro sondriese innamorato di letteratura cavalleresca (a cominciare da Boiardo) e non a caso amico di Calvino. Dopodomani, domenica 11 agosto, Ernesto Ferrero tornerà vivo nel ricordo dei «suoi» valtellinesi grazie alla presentazione del libro postumo e, nel pomeriggio, alla cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria.
E veniamo alle affinità elettive tra Ariosto e Calvino, cominciando col ricordare che l’autore di Marcovaldo definì più volte l’Orlando furioso il suo poema, tant’è vero che si impegnò a raccontarlo e commentarlo a suo modo in un famoso Struzzo einaudiano del 1970: ma a dimostrare questa particolare affezione ci sono i suoi libri, particolarmente la Trilogia e più particolarmente ancora, nella Trilogia, Il cavaliere inesistente.
Ferrero individua diversi punti in comune tra Italo (cui ha dedicato il suo ultimo libro) e l’«antenato elettivo» Ludovico. Innanzitutto, una somiglianza caratteriale: non amano scrivere in prima persona, conoscono il mondo e ne parlano in forma di fiaba o di apologo, sono maestri di autoironia e di understatement.
L’eredità dei grandi
«La fantasia non è un getto di petrolio: nasce
da un accurato calcolo artigianale, da orologiaio»
Tutt’e due riconoscono nella finzione un valore conoscitivo, amano il fantastico, ma lo trattano in modo speciale: «Calvino e Ariosto ci dicono che la fantasia non è un getto di petrolio che schizza da un giacimento sotterraneo e va dove gli pare, ma nasce da un accurato calcolo artigianale, da orologiaio, è quasi un gioco matematico». Non c’è fantasia senza esattezza, metodo, concretezza.
Calvino diceva che «la fantasia è come la marmellata, per spalmarla occorre una solida fetta di pane». Altro elemento comune è la forte consapevolezza (auto) critica: sia l’uno che l’altro «sanno di far parte di un tempo e di una società letteraria, dunque si collocano in un percorso, in una traiettoria di un prima e di un dopo». Calvino precisa però che sarebbe bene, per gustarselo meglio senza scoraggiarsi, leggere il poema come un universo a sé, «in cui si può viaggiare in lungo e in largo, entrare, uscire, perdercisi».
Ed eccoci a un altro elemento che Calvino condivide con Ariosto: il senso dell’immagine. Tutti e due si sforzano di «rendere chiaro e trasparente come un disegno quel che si presenta fangoso, caotico, greve…». Sono due artisti «figurativi», ma di una figuratività lieve: l’elenco dei pittori ammirati da Ariosto è lungo, in pochi versi cita Leonardo, Mantegna, Michelangelo, Raffaello, Tiziano; altrove il poeta dice che per descrivere la bellezza vorrebbe avere la mano di un pittore. La passione per il cinema e per il fumetto è stata fondamentale per il giovane Calvino, che non nasconderà il suo entusiasmo per Picasso, Klee, Escher, Steinberg, e riconoscerà nell’amico Tullio Pericoli un artista affine.
E non disgiunto da questo aspetto è il piacere costruttivo (combinatorio), un’intenzione architettonica che forse contrasta con l’understatement di cui si diceva, con quell’idea peculiare di letteratura come divertimento non troppo esposto. Ferrero ci ricorda la formula di Calvino: «Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto». Il gioco si esprime in un movimento incessante («movimento errante» di Orlando e degli altri cavalieri che inseguono Angelica), nella rapidità che Calvino inserisce tra i valori del nuovo millennio.
Sono due pionieri a loro modo, Ariosto e Calvino: il primo è l’antenato del fantasy, del fumetto, del cinema, osserva Ferrero. Tutti e due sono maestri dell’azione in dissolvenza e del montaggio, sono maestri di trame e di rovesciamenti paradossali: se l’agognato castello di A-tlante si rivela un buco nero che divora ardori e intrecci, anche in Calvino «il desiderio è una corsa verso il nulla». In compenso c’è l’idea, valida per l’uno e per l’altro, che la letteratura è, scrive Ferrero, «un sistema in cui tutto si tiene», un sistema in cui «nessuno corre isolato o da solo, è parte di una grande, immensa famiglia, discende da una interminabile catena di cui è l’ultimo anello».
La lectio si chiude infatti con l’immagine dell’albero genealogico, che è la stessa che nelle sue migliori opere Ernesto ha voluto e mirabilmente saputo illustrare. Come ci ricorda Gino Ruozzi nella nota conclusiva, limpido e ilare è stato Ariosto, limpido e ilare è stato Calvino. E a quella famiglia, per molti versi, appartiene anche Ferrero.