Corriere della Sera, 9 agosto 2024
non solo capricci di agosto
Sarà solo un agosto capriccioso, come a volte capita, oppure dobbiamo prepararci a un cambio di stagione definitivo? Il mese delle vacanze nell’emisfero Nord del mondo spesso riserva sorprese che, poi, nei mesi successivi, vengono digerite e si torna a una normalità non troppo diversa dalla precedente. Questa volta potrebbe essere diverso. Il sospetto è che stiamo vivendo due cadute gemelle: quella dell’ordine internazionale garantito dalla Pax Americana e, al di là di rimbalzi e volatilità, quella che ha sostenuto l’economia globale negli scorsi 40-50 anni. Se così fosse, saremmo di fronte a un cambiamento radicale non solo della politica ma soprattutto delle nostre vite.
Geopolitica e finanza non sono dimensioni separate. Uno dei maggiori punti di forza dell’Occidente è stato, nei decenni post Guerra fredda, il sistema capitalista di mercato: con i suoi meccanismi, le sue regole e la sua apertura, ha spinto la globalizzazione dell’economia, della finanza, della scienza, della tecnologia, dell’informazione. Ha permesso a centinaia di milioni di persone di uscire dalla povertà, ha migliorato le condizioni e le aspettative di vita, ha favorito la diffusione degli avanzamenti tecnologici che migliorano l’esistenza (dalla medicina ai telefoni cellulari in Asia e in Africa). In questa marcia, il capitalismo ha anche creato problemi e ingiustizie. Nel complesso, però, il sistema fondato sulla libertà economica ha beneficiato parti consistenti della popolazione mondiale, a Nord, a Sud, a Ovest, a Est.
È la firma che i valori dell’Occidente hanno messo sulla loro egemonia.
Il fenomeno straordinario che è stata la crescita economica cinese racconta la potenza di questo modello. Spesso si ritiene che il boom cinese sia dovuto alle capacità dei dirigenti e dei funzionari del Partito Comunista che governa a Pechino. I quali sono politici e amministratori di qualità. Il miracolo cinese, però, nasce dall’avere abbracciato il capitalismo di mercato, dopo che Deng Xiaoping aprì l’economia alla fine degli Anni Settanta, dall’avere tolto il tappo politico-ideologico che impediva ai cinesi di intraprendere. In altri termini, dall’avere scelto il modello occidentale di economia (ora in parte rinnegato da Xi Jinping). Questo è il caso più importante di successo del modello occidentale negli scorsi decenni.
Ora, il timore è che questo modello sia vicino alla fine. Non tanto per una crisi del capitalismo, il quale può assumere diverse forme, ma per la crisi dell’economia fondata sul mercato libero. È questo ciò che dicono in questi giorni d’agosto le instabilità finanziarie che vanno dagli Stati Uniti al Giappone all’Europa (meno forti)? Di certo, è in corso una ridefinizione delle logiche dei grandi flussi finanziari. Uno degli epicentri delle tensioni è il Giappone, dove il governatore della banca centrale Kazuo Ueda ha chiarito che più di trent’anni di inflazione e di tassi d’interesse attorno allo zero sono finiti. È un problema che coinvolge il mondo: i grandi investitori che avevano preso a prestito nel Paese per poi investire dove i tassi erano più alti sono colti di sorpresa e devono ricoprirsi dalle perdite, quindi vendono titoli. Tokyo è un pezzo del nuovo mondo.
Anche nell’economia più importante, quella americana, stanno arrivando alla resa dei conti le politiche di denaro a costo zero degli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008. In particolare, la grande quantità di denaro creato dalla Fed (la banca centrale) e i massicci stimoli di bilancio – da Obama a Trump a Biden – per migliaia di miliardi di dollari hanno prodotto inflazione e gonfiato i valori di Borsa, soprattutto sulle azioni delle Sette Magnifiche aziende hi-tech. Le quali, per lo più, ora registrano utili che non giustificano quei prezzi. Anche qui, stiamo andando verso la fine di una stagione, quella che per quasi 15 anni – decisamente troppo, secondo molti economisti – ha tenuto il costo del denaro a zero, qualcosa che con il capitalismo ha poco a che fare. Gli Stati Uniti non sono, almeno per ora, in recessione, ma Wall Street deve fare i conti con le regole dell’economia che, a un certo punto, si vendicano. Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, il rallentamento della crescita della Cina, altro segno della fine di un grande fenomeno della globalizzazione.
Tutto questo avviene mentre assistiamo al ritorno di politiche governative protezioniste (tariffe spesso di segno politico) e di nuove politiche industriali per altri migliaia di miliardi, negli Stati Uniti ma anche in Europa, per non dire di quelle storiche di Pechino. Anche questo un segno della fine di decenni di mercati aperti, dell’arrivo di un’era in cui la politica è tornata a prevalere sugli attori economici.
Succede che, mentre l’Occidente affronta guerre in Europa e in Medio Oriente e la sfida per un nuovo ordine mondiale, il suo potere di attrazione che è stato l’economia aperta e di mercato viene eroso e perde la capacità di creare egemonia. L’economia è stata per decenni il soft power che ha reso seducenti il modello e i valori occidentali. Le tensioni finanziarie d’agosto possono raccontare che questa lunga stagione volge al termine a causa di scelte che hanno penalizzato l’idea di mercato e l’hanno sostituita con un’economia decisamente guidata dai governi, come piace alla Cina di Xi Jinping. Una direzione che porta a un’economia capovolta, avviata a diventare hard power, strumento di confronto tra potenze. Quello di agosto potrebbe essere più di un capriccio.