la Repubblica, 9 agosto 2024
La beffa di Puigdemont torna a Barcellona ma sfugge all’arresto
Carles Puigdemont circondato da bandiere indipendentiste che parla dal Parc de la Ciutadella a Barcellona, una città che non vedeva da 7 anni. Dentro il Parlamento, un accesodibattito che incorona il socialista Salvador Illa a capo della Catalogna. Fuori, gli scontri tra la polizia e i manifestanti. Di nuovo Puigdemont che cammina rapido per le strade del Born. E infine un’enorme operazione di polizia che blocca tutta la città. Sono le istantanee di una giornatagrottesca in Spagna, che oraapre una crisi politica.
Il leader indipendentista catalano è rientrato ieri a Barcellona dopo 7 anni di fuga che lui definisce “esilio”. Lo ha fatto con l’intenzione di bloccare l’inaugurazione del nuovo Parlamento, dove lui è stato elettoin assenza tra le fila dell’opposizione. Il suo gesto è stato una sfida alla giustizia e una provocazione. Sapeva di andare incontro all’arresto. Ma chi si aspettava un rientro storico, con una detenzione scenografica e il conseguente iter giuridico per provare a dimostrare la sua innocenza èrimasto deluso. Poco dopo l’apparizione, di lui si sono perse le tracce. Due agenti dei Mossos d’Esquadra sono stati arrestati per aver aiutato la fuga. Diversi membri di Junts sono stati convocati a testimoniare.
Puigdemont può essere scappato. Ma sicuramente non si è nascosto. Mercoledì aveva annunciato su instagram la sua intenzione di rientrare a Barcellona. L’addetto stampa Aleix Sarri aveva invitato i media ad accreditarsi. L’evento è stato trasmesso live dall’account di Puigdemont: le immagini lo ritraevano su un palco circondato da agenti. Non lo hanno arrestato subito, spiegheranno più tardi, per evitare scontri con gli indipendentisti. Pochi minuti dopo la fine del discorso, la polizia annunciava l’attivazione della Operación jaula (operazione cella): blocchi stradali intorno al capoluogo per evitare la fuga. Ma gli sforzi sono stati inutili e tre ore dopo l’inizio della caccia all’uomo, i blocchi stradali sono stati rimossi.
Al centro di tutta la questione c’è l’applicazione della controversa legge di amnistia. Approvata lo scorso 20 maggio, è il risultato di un accordo che il premier spagnolo Pedro Sánchez ha dovuto siglare con i catalani di Junts per garantire la sua nomina a primo ministro di un governo di centro sinistra. La legge decreta l’amnistia per tutti i separatisti catalani (circa 1.400) inquisiti a partire dal 2013. Puigdemont aveva abbandonato il Paese all’indomani del referendum non riconosciuto sull’indipendenza della Catalogna del 2017. Era fuggito in Belgio a causa della dura risposta di Madrid all’azione dei separatisti. Di fatto, l’amnistia apriva la strada al suo rientro in patria, ma un giudice del Tribunale Supremo ha opposto alcuni ostacoli. Pablo Llarrena infatti ritiene che le accuse di appropriazione indebita aggravata che pesano contro Puigdemont non siano coperte dalla legge. La condanna elevata prevista per tali reati – fino a 12 anni di prigione – giustifica la richiesta del carcere preventivo per il rischio di fuga.
Con questo gesto Puigdemont è alla ricerca disperata di protagonismo. Ma vuole anche esporre all’opinione pubblica la posizione di un giudice che considera un prevaricatore. L’intenzione era chiara nel suo messaggio di mercoledì: «Il fatto che io partecipi all’inaugurazione del Parlamento, in quanto deputato eletto, dovrebbe essere normale. Che per farlo io mi esponga a un arresto arbitrario è l’evidenza dell’anomalia democratica che dobbiamo denunciare e combattere. Non perché siamo indipendentisti. Ma perché siamo democratici». La destra ora è già sul piede di guerra e accusa il governo Sánchez del fallimento. L’esecutivo ne esce male perché appare sotto scacco di quello che Xavier Vidal-Folch ha definito “un erede del mago Houdini”.