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 2024  agosto 10 Sabato calendario

Intervista a Sonia Bergamasco

Algida e buffa, brillante come la locandiera, misteriosa come la protagonista del nuovo film di Marco Tullio Giordana, La vita accanto, che accompagna al Festival di Locarno.
Sonia Bergamasco si conferma un’artista versatile e un’irrefrenabile attivista. In questi giorni monta il documentario che ha diretto per omaggiare la “dea” Eleonora Duse, sullo schermo darà il volto a Giuliana Sgrena nel film sulla morte di Nicola Calipari. In autunno tornerà sul palco come locandiera goldoniana.
Tratto dal romanzo omonimo di Mariapia Veladiano, La vita accantosarà in sala il 22 agosto: «Il libro e la storia sono stati lavorati da Marco Bellocchio, che poi ha offerto il film a Marco Tullio. Con Marco ho un legame stretto, mi ha invitato a buttarmi nel film, non ho esitato: “Questa pianista puoi interpretarla solo tu”, ha detto».
Donna complessa e misteriosa.
«Un clima vischioso e sospeso scorre nelle relazioni tra ogni personaggio del film. Una famiglia difficile, due fratelli gemelli legatissimi ma diversi, lei concertista che gira il mondo e ha una sua autonomia, lui medico stimato che vive a Vicenza. Lui sposa una donna molto bella, la nascita di una figlia dà il via a una crisi che è il vortice centrale della storia: una bimba con una macchia misteriosa sul viso, che poi scompare. È un film che si muove nel non detto, di poche parole, molte situazioni e sguardi».
La preparazione musicale è stata impegnativa.
«Sì, perché la musica definisce il personaggio: Erminia è ossessionata, vive nei concerti, in una casa piena di strumenti. Ho lavorato settimane ai brani, difficili, su tutti Rachmaninov di cui mi sono innamorata».
Ha immaginato sé stessa in una vita parallela fatta di concerti?
«In verità non ho mai strappato il cordone con la musica perché da un lato spesso mi succede di suonare e cantare a teatro o al cinema perché sanno che l’ho fatto e posso farlo, inoltre sento che è la mia prima lingua e non ho nessuna intenzione di interrompere questo legame fortissimo e che determina anche il mio modo di stare nel mio mestiere».
Con Marco Tullio Giordana e il cast avete festeggiato “La meglio gioventù” che ha cambiato moltodella sua vita artistica e non.
«Abbiamo iniziato sportivamente, allegramente come una piccola avventura con Marco Tullio e poi ci siamo ritrovati dentro una storia che è esplosa un po’ in tutto il mondo. Ed è una storia ancora viva. L’incontro tra tutti al Sala Troisi, per i vent’anni, è stato toccante. Molti di noi hanno figli, che sono venuti e hanno rivisto sul grande schermo storie raccontate quando ancora non “c’erano”».
Chi era quella Sonia e chi Giulia, l’algida pianista che insegue la lotta armata protagonista del film?
«È una Sonia fortunata, per quella storia tutta italiana, potente, e un personaggio che in assoluto avrei voluto raccontare se avessi potuto sceglierlo. Mi sono goduta da attrice questo racconto, questo dolore, la ferita che Giulia si porta dentro. Ho provato a raccontarla con la massima aderenza, avvicinandomi a un’epoca politica e sociale che non ho vissuto.
Di recente ho avuto modo di parlarecon Giuliana Sgrena per un altro film che uscirà nel 2025, sulla storia del suo sequestro e l’uccisione di Nicola Calipari. Un’altra storia italiana incredibile, aperta, opaca, che aspetta ancora risposte. Questo tipo di racconto il cinema lo può fare al meglio e quando ci riesce è veramente qualcosa che ci cambia».
Com’è stato incontrare Giuliana Sgrena, sentiva la responsabilità di portarla sullo schermo?
«Di lei avevo già letto tutto il possibile per avvicinarmi al film. È stata una grande emozione, perché il testimone diretto porta in sé un valore assoluto e irripetibile. Ho raccolto la generosità del mettere a disposizione il suo racconto di vita e la sua esperienza di professionista per poter arrivare a una storia giusta.
E con lei poi, naturalmente, abbiamo incontrato anche Rosa Calipari.
Insomma, è una costruzione complessa, un appuntamento assolutamente importante».
Lavora, da regista, a un documentario su Eleonora Duse in un anniversario importante.
«Sono al montaggio di un film, ci lavoro da tanto. L’idea risale a molti anni fa e nasce da un pensiero amoroso nei confronti dell’impeto creativo di questa artista che nessuno di noi conosce e ha mai visto. Eppure, ancora la sento vibrare, sento che ha un potere ed è quello che trascina le nuove generazioni in avanti. Duse è stata donna di teatro assoluta, quando facendo teatro si girava il mondo con la propria lingua senza sottotitoli. Viene vista da Lee Strasberg, che si ispirerà a lei per il suo metodo, da Charlie Chaplin, che la definisce “la più grande artista che abbia mai visto”, da poeti e scrittori. È un’artista che ha intercettato il nuovo e anche se oggi il suo nome non risuona – magari solo adesso per il centenario dalla morte e per il film che Pietro Marcello ha finito su di lei – ci sono ancora molti studiosi che lavorano sulla sua energia creativa.
Per me è importante parlare del mestiere dell’attore, che continuamente viene nutrito proprio dal lavoro di questi grandi artisti».
Nella sua carriera ha preso anche vie inaspettate, ruoli e film popolari. Quando la fermano per strada quali titoli le citano?
«Il più delle volte le commedie, da Checco Zalone a Riccardo Milani. Ma molti anche per La meglio gioventù. E per la televisione, Montalbano su tutti. E poi a volte succede anche per il teatro e allora per me è una festa: quello è un pubblico minoritario ma prezioso. Il loro esserci, scegliere di andare a teatro, dedicare una sera, spostarsi, stare insieme a quegli attori per ascoltare quella storia, è un gesto quasi rivoluzionario. Posso dire che i teatri sono pieni e in ottima salute. Questo è un bel segno».
Quanto conta l’ironia?
«È una parte essenziale. L’ultimo spettacolo che ho fatto èLa locandiera di Goldoni, siamo già stati al Teatro Argentina ad aprile, poi riprenderemo con una tournée tra ottobre e dicembre. È uno spettacolo con la brillantezza di trucco goldoniana che non può non essere raccontata. E questa brillantezza, che ritrovo anche a teatro, quando posso, me la godo tutta».