la Repubblica, 10 agosto 2024
“Quaranta anni fa inventammo i falsi Modì Quella beffa è parte di noi io ce l’ho sul curriculum”
Doveva essere solo uno scherzo, una goliardata, una «burla boccaccesca» come la etichettò Vittorio Sgarbi, ma la storia delle false teste di Modigliani ritrovate nel Fosso Reale di Livorno è finita per diventare un caso di cui oggi, a 40 anni esatti di distanza, si continua a parlare e a discutere. Tanto che quei tre volti incisi nella pietra, dai tratti allungati e appena abbozzati, sono ancora una presenza ingombrante, custodita nei depositi del Museo della Città di Livorno. I primi due vennero ripescati dal fango del canale il 24 luglio, e il 10 agosto spuntò anche il terzo. Erano falsi, ma questo si sarebbe scoperto solo un mese dopo, con una rivelazione clamorosa che smentì il parere di celebri esperti d’arte, convinti di aver ritrovato le leggendarie sculture gettate via dal grande artista livornese nel 1909.
Furono tante le persone coinvolte nella vicenda. Alcune non ci sono più, altre non ne vogliono parlare, ma Pietro Luridiana, Francesco Ferrucci e Michele Ghelarducci – gli autori dello scherzo, allora studenti ventenni in vena di divertirsi un po’, oggi padri di famiglia e professionisti stimati – continuano a godersi il piacere di tornare con la memoria a quei giorni. «Ci vediamo con regolarità, andiamo anche in vacanza insieme. Non ci pesa essere “quelli delle teste”, anche se a volte sembra che Livorno voglia dimenticare questo capitolo della sua storia», dice Luridiana, che oggi lavora per un’azienda informatica.
Ecco come andarono le cose. Nel 1984, l’allora Museo progressivo di arte moderna aveva deciso di celebrare con una mostra il centenario della nascita di Modigliani. Per arricchire l’esposizione, la conservatrice, Vera Durbé, e il fratello Dario, sovrintendente alla Galleria d’arte moderna di Roma, convinsero l’amministrazione comunale a perlustrare l’antico fosso mediceo alla ricerca delle perdute opere di Modì.
«C’era fibrillazione in città – prosegue Luridiana – Si formavano capannelli di turisti e curiosi per guardare il lavoro della scavatrice, tutti con il fiato sospeso nell’attesa di vedere spuntare qualcosa, ma il fosso restituiva solo fango e rifiuti. Mi venne in mente che sarebbe stato bello offrire a queste persone, anche solo per poche ore, l’emozione di un ritrovamento importante. A quel punto chiamai i miei amici». Ognuno portò quello che aveva in casa: un libro con le immagini delle sculture, martelli, scalpelli, cacciaviti, un trapano Black&Decker. La grande pietra sulla quale gli improvvisati falsari imitarono il gesto artistico di Modigliani arrivava invece dal giardino di Michele Genovesi, il quarto del gruppo, che fin da subito preferì non apparire.
«Realizzammo una testa appena abbozzata. Eravamo convinti che al primo sguardo si sarebbe capito che era un imbroglio. Così, la notte del 23 luglio, andammo a gettarla nei pressi della draga e rimanemmo in attesa degli eventi», dice Luridiana. Ma quasi contemporaneamente anche l’artista livornese Angelo Froglia aveva pensato di realizzare due falsi, per scatenare non tanto una risata, quanto una riflessione.
Dopo poche ore, la ruspa tirò su un blocco di granito scolpito in stile Modì, poi un secondo e dodici giorni dopo una terza scultura. Fu cortocircuito: critici come Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi ed esperti della Soprintendenza decretarono, prendendo un grande abbaglio, che quelle teste erano state scolpite con l’inconfondibile tratto dell’artista maudit.
A dubitare furono solo Federico Zeri e il collezionista Carlo Pepi.
«La nostra testa di pietra era finita su tutti i giornali del mondo. Ricordo che andai in ufficio da mio padre con una copia del Tirreno e gli dissi: “Te l’avevo detto che avevo fatto un bello scherzo”» racconta, con ancora una sfumatura d’orgoglio nella voce, Michele Ghelarducci, oggi spedizioniere. «Per noi ragazzi, amici inseparabili e compagni di tante scorribande, aver ingannato il mondo dell’arte fu l’apice della carriera di goliardi». Pentiti? Mai. Anzi. «Quell’episodio fa parte di me, mi rende più umano agli occhi dei miei pazienti. Tanto che l’ho inserito pure nel curriculum», spiega Francesco Ferrucci, oggi direttore del reparto di Oncologia del gruppo Multimedica a Milano.
La verità sulle teste venne a galla poche settimane dopo. In un’intervista a Panorama, i tre studenti svelarono la beffa. Celebre fu il passaggio in tv, in prima serata, durante il quale, ospiti della trasmissione Speciale Tg1, i ragazzi replicarono la loro prodezza artistica. Nel frattempo, anche Froglia aveva rivendicato la paternità delle altre due sculture. Da piccola palla di neve, lo scherzo si era trasformato in valanga. «Avevamo vent’anni, eravamo ingenui e ci godevamo quella improvvisa notorietà. Grazie a un’apparizione in tv ho anche conosciuto mia moglie», prosegue Luridiana che qualche giorno fa ha ricevuto la laurea di «Bugiardo ad honorem» dall’Accademia italiana della bugia.
In 40 anni le acque si sono calmate, ma di cose ne sono successe. Le teste sono state esposte in alcune mostre e Caparezza le ha celebrate a modo suo con il brano Teste di Modì.
Il regista Paolo Virzì aveva annunciato di voler girare un film, ma il progetto poi è rimasto al palo. A buon punto sarebbe invece il docufilm che la Fandango ha affidato al regista Luca Rea. «Sono già state fatte alcune riprese a Livorno», annuncia Ferrucci. «Il mio obiettivo è realizzare un film che racconti la nostra storia alla maniera di Amici miei, senza certe strumentalizzazioni politiche, come quelle che all’epoca ci dipinsero come borghesi figli di papà. Purtroppo, però, ho sempre incontrato grandi resistenze. Chissà perché».