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 2024  agosto 08 Giovedì calendario

Processo a Cuore

È la volta di Edmondo De Amicis. Anzi, più specificamente del suo capolavoro Cuore, che finirà sul banco degli imputati sabato, il 10 agosto, in occasione del simbolico processo che si tiene ogni anno a San Mauro Pascoli, in provincia di Forlì-Cesena. La data corrisponde al giorno in cui venne assassinato nel 1867 il padre del poeta Giovanni Pascoli, nato in questa località romagnola che da lui prende il nome. L’evento, che si tiene regolarmente dal 2001, è organizzato dall’associazione culturale Sammauroindustria.
Dopo i processi a Giuseppe Mazzini, Palmiro Togliatti, Pellegrino Artusi, Niccolò Machiavelli, al Sessantotto, alle rivoluzioni russa e francese (sono solo alcuni esempi), accusa e difesa si misureranno sul libro, pubblicato nel 1886, in cui l’alunno Enrico Bottini racconta le vicende della sua classe torinese di terza elementare, con annessi i racconti edificanti del maestro. Il verdetto sarà emesso dal pubblico, dotato di apposite palette, mentre a presiedere il rito provvederà Miro Gori, fondatore del processo e direttore di Sammauroindustria.
Entriamo allora nel merito degli argomenti, anticipandone la sostanza con i due antagonisti che si confronteranno nel dibattimento. Il pubblico ministero Roberto Balzani, docente dell’Università di Bologna ed ex sindaco di Forlì, prenderà di mira alcuni racconti del maestro contenuti all’interno di Cuore: «De Amicis scrive un’opera pedagogica per affermare valori civili. Ma, nel farlo, attinge a stereotipi regionali che descrivono una realtà frammentata in contrasto con la sua visione risorgimentale unitaria. Il caso più evidente è il racconto Sangue romagnolo, nel quale il piccolo Ferruccio si sacrifica e perde la vita per proteggere la nonna da uno dei due delinquenti penetrati nella loro abitazione. La Romagna viene qui dipinta come una terra violenta e sovversiva, infestata da criminali. Eppure il fratello di De Amicis era prefetto a Forlì e aveva della regione un’idea più realistica, capiva che anche i movimenti rivoluzionari erano disposti a trovare un modus vivendi con le autorità dello Stato».
L’avvocato difensore di Cuore Giampaolo Borghello, già docente dell’Università di Udine, la pensa diversamente: «I racconti mensili sono una variazione che De Amicis incastona nel diario di Enrico per dare un cambio di ritmo alla narrazione. E non mi pare che indulgano a particolari stereotipi. Per esempio non ha grande importanza che il protagonista di Dagli Appennini alle Ande sia genovese. Ciò che interessa all’autore è soffermarsi sul fenomeno dell’emigrazione italiana. E poi in tutti i racconti è centrale il tema dell’altruismo. Lo sguardo di De Amicis ha una dimensione regionale, ma il suo scopo è cementare l’unità del Paese. Ricordo a tal proposito l’arrivo nella classe di un nuovo alunno proveniente dalla Calabria, che viene accolto dal maestro con tutti gli onori».
Perché bocciarlo
«Puntando sulle regionalità, De Amicis finisce per descrivere un’Italia in contrasto con la visione patriottica unitaria»
Balzani però insiste: «La sottolineatura della regionalità è certamente una delle chiavi privilegiate attraverso cui De Amicis esalta il sentimento patriottico, ma finisce anche per essere una sorta di gabbia nella quale lo imprigiona: gli italiani sono fatti in questo modo, sembra dire ai suoi lettori, e la nazione deve accettarli con i loro tratti specifici. Così nel Piccolo scrivano fiorentino risuona l’idea di Firenze come città della cultura per eccellenza, “Atene d’Italia”. E nel Tamburino sardo, il ragazzo che perde una gamba per la patria, ritroviamo il richiamo alla fierezza e al coraggio degli abitanti dell’isola».
«Ma il messaggio di Cuore — replica Borghello – ha anche un carattere universale, che ne spiega l’enorme successo all’estero. In Italia nel solo primo anno dalla pubblicazione se ne contano 41 edizioni e nel giro di sei anni si arriva a quattordici traduzioni in lingue straniere. I problemi dell’istruzione, la forza dei buoni sentimenti, la sensibilità dell’autore verso la dinamica delle classi sociali colpiscono il pubblico. E poi naturalmente conta la situazione dell’Italia unificata da poco, nella quale la scuola e i maestri hanno un compito primario, a fronte del diffusissimo analfabetismo, nel più complessivo “sforzo ciclopico”, come lo chiamava Gaetano Salvemini, che viene compiuto per edificare il nuovo Stato. Non a caso all’epoca, quando si parla degli insegnanti elementari, si dice spesso che la loro è una “missione”, che svolgono nonostante un trattamento economico assai modesto. Va ricordato che De Amicis scriverà poco dopo Il romanzo di un maestro. E nel 1891 aderirà al nascente socialismo».
«Il successo impressionante del libro di De Amicis – osserva Balzani – dipende in una certa misura proprio dal modo in cui, piuttosto che guardare in faccia la realtà, porta all’eccesso la dimensione languida e lacrimevole gradita al pubblico. In fondo ai lettori gli stereotipi piacciono e questo permette a Cuore di diventare, con Il Bel Paese di Antonio Stoppani, Pinocchio di Collodi e le Odi barbare di Giosue Carducci, uno dei testi su cui si forma l’identità italiana nell’epoca umbertina, tra il 1880 e il 1890. Qualcuno ha rimproverato a De Amicis gli accenti nazionalisti, ma si tratta di un motivo che domina tutta la cultura europea dell’epoca e non mi sento di criticarlo per questo. Direi piuttosto che a un certo punto l’autore va oltre Cuore, capisce che la nazione non basta come agente d’integrazione sociale. E l’osservazione di ciò che accade nel Paese, con la nascita delle leghe contadine e delle camere del lavoro, lo spinge verso un socialismo umanitario tipicamente ottocentesco».
Perché salvarlo
«Il messaggio del libro riesce comunque ad avere un carattere universale, il che ne spiega anche l’enorme successo all’estero»
Insomma Cuore si prestava almeno in parte alle critiche che gli sono state rivolte, per esempio nel corrosivo Elogio di Franti scritto da Umberto Eco nel 1962? «Quella – risponde Borghello – era una provocazione, per quanto intelligente. E io non amo operazioni del genere. Provando a immaginare il futuro dei ragazzi raffigurati nel romanzo di De Amicis, Eco vede Garrone, il buono per eccellenza, diventare senatore, prefigura per Enrico un futuro da interventista e nel “malvagio” Franti individua una vena sovversiva tale da arrivare a identificarlo con Gaetano Bresci, l’anarchico che nel 1900 uccise il re Umberto I. Sono scenari che hanno poco a che fare con Cuore, se non per il fatto che indirettamente dimostrano la duratura forza narrativa impressa da De Amicis ai ritratti dei singoli scolari».