La Stampa, 8 agosto 2024
Intervista a Claudio Gioè
Nel centenario dalla nascita di Danilo Dolci, Claudio Gioè ricorda questo intellettuale controcorrente che per primo denunciò la situazione del Belice in macerie dopo il terremoto del 1968 e l’immobilismo di Stato nella sua ricostruzione nella performance itinerante Radio Libera Sicilia, che chiude le Orestiadi di Gibellina 2024. Da anni ospite della manifestazione siciliana, quest’anno all’attore viene anche conferita la cittadinanza onoraria per l’attività a sostegno del festival e per una particolare puntata della serie Makàri di cui è protagonista ambientata proprio nella cittadina e tra le sue opere d’arte, Cretto incluso. «Il centenario – spiega l’attore palermitano, classe 1975 – ci è parso l’occasione giusta per rimettere al centro del dibattito sociale e culturale gli intellettuali. Una volta cruciali, ora latitano, mentre ce ne sarebbe tanto bisogno: la pace in crisi, il mutamento climatico, i flussi migratori... Ai tempi le parole di Dolci furono fondamentali».
Cosa fece?
«Dalla sua radio, che già da sola era atto di disubbidienza civile poiché infrangeva il totale monopolio Rai, diede voce al popolo del Belice confinato nelle baracche post terremoto per via di una politica immobile. Andò sotto processo e fece lo sciopero della fame. Assertore della non violenza, non a caso venne definito il “Gandhi italiano”. Oggi ne rievochiamo le parole, sperando di avviare una riflessione sul presente».
Radio Sicilia Libera chiusa dopo 40 giorni, Dolci processato. Anche oggi lo sarebbe?
«È una delle riflessioni che facciamo nello spettacolo: la libertà di informazione fa sempre a fatica ad affrancarsi dalla narrazione ufficiale. Forse oggi non sarebbe silenziato e forse avrebbe usato altri media, non saprei. Resta la constatazione che comunque anche oggi si tenta di controllarla. I giornalisti si confrontano con l’obbligo morale dell’obiettività e della verità, chiamati a difendere strenuamente spazi di libertà, a svelare le intrusioni delle fake news generate dall’AI o degli algoritmi che sui social intervengono sull’uso delle parole che si possono o non possono dire».
Da Danilo Dolci a Mike Bongiorno, un altro centenario. A ottobre darà volto e corpo al presentatore nella fiction Mike su Rai 1. Cosa può dirci?
«Che sento una responsabilità enorme, per via della popolarità che lui ha ancora oggi e che attraversa varie generazioni. La serie prende le mosse dalla sua autobiografia e ne racconta la vita professionale e personale dalla giovinezza agli Anni 70. È personaggio fondamentale nella storia della tv nel nostro Paese, quella pubblica (di cui fu protagonista fin dalla sua prima trasmissione) e quella privata. Un pioniere dell’intrattenimento. Amato per la simpatia e la goffaggine, la gente si identificava in lui. Ricordo quando, avrò avuto 6/7 anni, il giovedì sera mi veniva permesso di fare tardi alzato per vedere i suoi quiz».
Alle Orestiadi le viene data la cittadinanza onoraria per una puntata di Makàri ambientata a Gibellina. A che punto siete con la quarta?
«Le riprese vanno dal settembre a dicembre, mentre la messa in onda dovrebbe essere in primavera. La sceneggiatura l’ho letta ma ho il divieto assoluto di parlarne».
Un’altra serie che fa scoprire la Sicilia: dopo Montalbano, Saverio Lamanna?
«Gaetano Savatteri nei suoi romanzi racconta il Nord-Ovest, mentre Camilleri li ambienta nel Sud-Est: sono due Sicilie molto diverse da un punto di vista ambientale e caratteriale. Questa è più araba, malinconica e ambigua».
In questi giorni parla molto della grave crisi idrica siciliana. Non è una specie di eterna emergenza quella della sua terra?
«Si tratta di un problema strutturale e decennale, non di un’emergenza contingente. Basterebbe poco per invertite la rotta. Il problema si pone da anni, anche se lo si ricorda ogni anno solo ad agosto. Gli impianti fanno acqua da tutte le parti, acqua che si dovrebbe rendere l’acqua pubblica davvero invece di favorire le varie privatizzazioni. Da siciliano mi viene da pensare che sia voluto, che non si sia nessuna voglia di affrontarlo e risolverlo davvero. Giusto l’occasione per chiedere ulteriori finanziamenti e mettere qualche toppa qua e là. Ma niente di sostanziale».
E del Ponte, da siciliano doc, cosa pensa?
«Ho letto qualche documento, mi sono informato. E mi sono fatto l’idea che sia impossibile da costruire, lungo come nessun altro al mondo, e con la ferrovia in più. Non bastasse il problema della campata più lunga, c’è anche quello dei forti venti e il rischio sismico. Così alla fine si avvieranno i cantieri e la macchina mangia-finanziamenti, ma resteranno solo due enormi buchi sulle sponde opposte dello Stretto. È la tipica amarezza siciliana la mia, una visione pessimistica sul mondo tutta nostra, che emerge parlando delle nostre cose. Sarà per questo che facciamo i dolci più buoni al mondo: per tirarci un po’ su?». —