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 2024  agosto 08 Giovedì calendario

La sua «Signora mia» ormai sarebbe una bisnonna. «Eh, il singolo uscì il 19 aprile del 1974, cinquant’anni fa»

La sua «Signora mia» ormai sarebbe una bisnonna.
«Eh, il singolo uscì il 19 aprile del 1974, cinquant’anni fa».
L’ha conosciuta davvero.
«Avevo 19 anni, lei 35, una storia di tre o quattro mesi».
Come si chiamava?
«L’ho dimenticato», ammette smemorato e sincero Sandro Giacobbe, 74 anni, anche se grazie a lei arrivò il suo primo successo. «Ero andato a un provino da Alfredo Cerruti che cercava giovani cantautori. Mi ero portato la chitarra. Gli feci sentire qualche brano. Non era entusiasta. “Vabbuò, hai altre cose?” sbuffò brusco. Accennai la melodia, poche note. “Fermo lì, non ti muovere”, mi intimò folgorato. “Ora ti metti al lavoro sul serio e mi scrivi un intero ellepì”».
Negli stessi anni c’era pure «Signora Lia» di Baglioni, una quasi omonima, si faceva confusione.
«Sì, ma al tempo quella non la conosceva nessuno, fu riscoperta dopo il successo di Questo piccolo grande amore. A noi due invece ci scambiavano di continuo, io e Claudio eravamo quasi uguali, stessa età, capelli simili, magri, le riviste ci mettevano spesso a confronto».
Le hanno mai chiesto, per sbaglio, di cantare quella?
«No, però appena uscì Signora mia, la passavano ogni giorno ad Alto Gradimento. Una domenica suonavo col mio gruppo in un locale di Alessandria. La cantai. Uno spettatore mi fece i complimenti: “La sento sempre alla radio, bravo, la fai proprio uguale a quel cantante lì”».
Con Baglioni eravate rivali.
«Più che altro lo erano le case discografiche, lui con la Rca, io con Messaggerie musicali. E tra noi all’inizio non c’era grande simpatia. Poi tanti anni dopo ci siamo conosciuti meglio, quando Claudio veniva a giocare con la Nazionale cantanti, l’ho allenato e siamo diventati amici, oggi ci sentiamo spessissimo per telefono o per messaggio».
Cantò anche: «Mi hanno fatto innamorare/gli occhi verdi di tua madre». Era in fissa con le donne mature.
«Sicuramente da giovane ero attratto da quelle più grandi di me. Anche quel brano nasce da una situazione vera. Avevo 20 anni, uscivo con una ragazzina di 17, una sera venne a sentirmi accompagnata dalla mamma... che avevo già conosciuto, c’era stata della simpatia. Da lì ho preso l’ispirazione. Mi succedeva spesso di guardare più le madri che le figlie».
Ne «Il giardino proibito» tradiva la fidanzata con la sua migliore amica.
«Era l’amica la traditrice, mica io, che infatti nel testo dico: “Scusa tanto se la vita è così/ non l’ho inventata io"».
Comodo così.
«E nella realtà accadde il contrario. La ragazza che mi piaceva, mentre ero in giro per lavoro, ebbe una storia con il mio migliore amico».
E come finì?
«Con lei ci siamo lasciati, con lui ci ho suonato ancora insieme, l’ho perdonato, eravamo ragazzini».
Ho idea che non fosse proprio un fedelissimo.
«Non mi piaceva tradire, ma se hai 21 anni e sei in giro per il mondo succede di tutto. E pure se sei impegnato, quando lei non è con te, puoi rinunciare una volta, tre volte, poi? Tutti i giorni no».
La cosa più folle che hanno fatto per lei?
«Una continuava a chiamarmi a casa, parlava con mia madre, minacciava di tagliarmi le gomme dell’auto se non l’avessi incontrata. Un’altra si è finta giornalista e mi ha dato appuntamento per un’intervista a casa sua. Quando sono arrivato aveva apparecchiato la tavola a lume di candela ed era in sottoveste».
E lei che ha fatto?
«Ho mangiato».
Il successo a un certo punto si affievolì.
«Ho inciso altri dischi, la vera flessione comincia nel 1997, quando si è ammalato di tumore mio figlio Andrea, che aveva 12 anni. In quel momento pensavo a tutto meno che alle canzoni. Dopo due o tre anni per fortuna ne è venuto fuori, oggi sta bene, è sportivissimo. Ho mollato tutto. Quando sono tornato la musica era cambiata».
Come l’ha presa?
«Non mi sono mai abbattuto perché non ero più famoso come prima. Faccio ancora concerti, anche all’estero, in Spagna Il giardino proibito è un inno nazionale. E sono felice di tutto ciò che sono riuscito a realizzare nella vita».
Elio e le Storie Tese la citano, irriverenti, nel loro «Supergiovane».
«Una cosa carina. Ma lo ha fatto anche Diego Abatantuono che in un film dice con la sua parlata: “Te lo ggiur su Santro Ciacobb”. Forte».
Chi sono i suoi amici tra i colleghi?
«Molti di quelli che hanno giocato con la Nazionale cantanti, di cui sono socio fondatore con Mogol, Morandi, Tozzi, Pupo e Fogli. Ci ho passato una vita. Venti anni da calciatore, una vera schiappa – con 4 gol all’attivo, pochi, ma ne vado orgoglioso – e 25 da allenatore».
Ancora in panchina.
«Ho fatto corso e esame a Coverciano con Roberto Mancini, con lui siamo molto legati. Un paio di volte ho avuto in squadra anche Maradona. Un giorno, rientrando nello spogliatoio, gli chiesi una foto. “E se non la faccio?”, scherzò Diego. “Ti lascio fuori squadra!”. “Allora dai, mettiamoci in posa”».
A chi somiglia, tra i mister più titolati?
«Forse ad Ancelotti, come carattere».
Il giocatore più indisciplinato che ha avuto?
«Il rapper Moreno. E prima ancora Gianni Morandi. Era mediano, non teneva mai la posizione, si metteva a chiacchierare col portiere e finiva che il 4-4-2 diventava un 2-8, con tutti all’attacco».
I più bravi?
«Niccolò Fabi e Ligabue. Ed Eros Ramazzotti, estro e grande personalità. Mentre Biagio Antonacci forse non è il più dotato, però è diligente, gli mostravo le diagonali, studiava, si applicava».
Il più falloso?
«Io, da difensore. Una volta, nella partita contro la Nazionale arbitri, ho sbattuto spalla contro spalla con Braschi, lui si è rotto la clavicola e non me l’ha perdonata. Ma anche a me ne hanno date tante».
Il più negato?
«Nek e Marco Carta, molto meglio come cantanti».
È severo?
«Durante i ritiri, la sera ci scappa il pokerino, quindi l’allenamento è spostato al pomeriggio. Però poi sul campo li faccio sudare».