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 2024  agosto 08 Giovedì calendario

La vita di Raffaele La Capria in dodici scatoloni

Nel suo attico romano, Raffaele La Capria non aveva uno studio monumentale né una scrivania “autoriale”. Gli amici ricordano che sul suo “banco di lavoro”, accanto alla macchina da scrivere, si affastellava di tutto: biglietti, appunti, ritagli di giornale, varie ed eventuali. Dunque ci si aspettava che, dopo la sua morte, tra i materiali d’archivio regnasse il caos. E invece no. Anche nella conservazione di tutto ciò che lo riguardava, lo scrittore napoletano aveva obbedito allo «stile dell’anatra» che «senza sforzo apparente fila via tranquilla e impassibile sulla superficie, mentre sott’acqua le zampette palmate tumultuosamente e faticosamente si agitano», come scrive nell’omonima raccolta di saggi.
Tradotto nella sua scrittura: sotto la semplicità c’è un grande lavoro in profondità, alla ricerca della parola esatta, essenziale, inderogabile. La Capria applica la teoria anche all’archivio privato, dove il disordine apparente nasconde – nella sua profondità “filosofica” – un’officina creativa sempre in movimento. E sempre in discussione. Tutto questo racconta il fondo che Alexandra La Capria, figlia dello scrittore napoletano e dell’attrice Ilaria Occhini, ha donato al Gabinetto Vieusseux di Firenze: 12 scatoloni stracolmi di prime edizioni, traduzioni dei suoi libri nel mondo, rassegne stampa, manoscritti, dattiloscritti, tesi di laurea su di lui. E anche una sceneggiatura, a firma di Paolo Sorrentino, per un film tratto da Ferito a morte e bocciata senza reticenze dall’autore stesso che, con il suo capolavoro, nel 1961 si aggiudicò lo Strega.
In autunno inizierà la catalogazione del materiale, che troverà spazio negli scaffali accanto ad Alberto Savinio: la donazione di Alexandra La Capria suggella un anno memorabile per il Vieusseux, che è in attesa anche degli oltre 20 mila volumi della biblioteca di Pietro Citati da collocare nelle stanze dell’Archivio contemporaneo “Alessandro Bonsanti” dell’istituzione, dove si conservano le carte Gadda, Caproni, Cecchi, Eduardo De Filippo, Cristina Campo, Magris, Pasolini tra gli altri. Ora, anche La Capria.
Alexandra avrebbe potuto donare tutto a Roma. O a Napoli, oggetto di amore-odio per lo scrittore. Ha scelto Firenze perché città della madre «ed è come se Raffaele e Ilaria si ricongiungessero, come se il loro amore acquisisse l’eternità che meritava. Mamma era la prima lettrice dei suoi scritti, era la depositaria di una fiducia assoluta per le capacità di approfondimento che aveva ereditato dal nonno, Giovanni Papini, le cui carte guarda caso sono conservate al Vieusseux. Per babbo, mia madre era un’amazzone, una donna venuta dalla mitologia e per questo irraggiungibile. Il suo amore per lei è stata una rincorsa che non trovava mai pace. Pensava di non meritarsela». Understatement di vita che ritroviamo in letteratura. Questo raccontano intere pagine dei dattiloscritti cancellate da barre trasversali e sostituite da appunti manoscritti (una calligrafia minuta, come inclinata da un vento inquieto, stretta, con un suo ritmo visivo ma spesso poco interpretabile, anche perché La Capria amava scrivere a matita e il tempo non è stato clemente) appiccicati sopra i fogli preesistenti in modo provvisorio, quasi a dirci che neanche quello sarebbe stato l’assetto destinato alla pubblicazione.
Ai libri usciti anni ed anni prima, La Capria riserva lo stesso trattamento: li rilegge, e ancora non contento, ne stralcia interi blocchi e li sostituisce con minute che designano una nuova versione. «Mi ha sorpreso il suo non abbandonare mai gli scritti, nel corso del tempo, il suo tornarvi e ritornarvi con urgenza e necessità, il non avere timore a ripubblicarli ricchi di variazioni, dopo anni dalla loro prima uscita. La Capria è un maestro della variazione non violenta verso l’opera originaria, come quella di Arbasino, ma sempre alla ricerca della parola che faccia coincidere la realtà interiore con quella esteriore» spiega Elisabetta Rasy. Grande amica dell’autore napoletano, di Dudù come lo chiamava chi lo frequentava con assiduità, ha aiutato Alexandra nel radunare il materiale per il Vieusseux, compresi i faldoni dove lo scrittore raccoglieva le versioni dattiloscritte e poi quelle pubblicate degli articoli per Il Corriere della Sera o Il Mattino: di alcuni propone anche un titolo provocatorio, però L’importanza della scopata nella narrativa italiana contemporanea, alla sua uscita, nel 1993, si trasforma in “Ma dov’è la vera donna?. Trionfa l’immaginario maschile” (l’autore si prenderà la “rivincita” pubblicandolo, anni dopo, con un titolo che conserva la parola “scabrosa” nel libro Il sentimento della letteratura).
«I fogli presenti nel fondo, i tantissimi appunti inseriti nei dattiloscritti o nei libri, affermano l’assoluta devozione per ciò che di umano è racchiuso nella parola – prosegue Rasy – Lui che ha vissuto tempi di fremente modernismo, di esperimenti atletici in letteratura, preferiva la precisione emozionale della lingua. Raffaele non era uno scrittore tutto talento ma un uomo colto che, però, evitava con attenzione il culturalismo».
«A mamma e babbo dedico questo mio primo libro, perché a loro, a tutto quello che mi hanno dato di amore, di comprensione, di educazione, debbo tutto quello che farò di buono nella vita». La dedica autografa (datata 2 luglio 1952) è vergata da La Capria in una copia della prima edizione di Un giorno d’impazienza, il suo esordio. Così parte il personalissimo viaggio letterario dello scrittore, capace di creare un suo “mondo parallelo” dove narrativa e saggistica s’innestano l’una sull’altra con scienza e allo stesso tempo passione.
Il fondo al Vieusseux (il volume indirizzato ai genitori è una delle scoperte più commoventi) ne è documento importantissimo. La grande domanda ora è: tra quei fogli fitti di parole scritte a mano o a macchina, inseriti in modo volante in libri e manoscritti, si nascondono inediti? Tutti quegli appunti che riempiono il frontespizio del dattiloscritto di Neapolitan Graffiti possono rivelare aspetti nuovi del testo, dello sguardo conflittuale che La Capria rivolgeva alla sua città? E quel quadernone con la copertina rossa, cosa contiene? Qualcosa emergerà dall’approfondimento organico di cui le carte saranno oggetto, mentre per il 2025 il direttore del Vieusseux Michele Rossi e il presidente Riccardo Nencini annunciano una mostra di fotografie inedite dall’archivio privato di La Capria, in collaborazione con la Fondazione Alinari.