la Repubblica, 8 agosto 2024
Elogio della timidezza
Ne soffre colui che si vergogna pur non avendo commesso alcun reato. Ma quando se ne libera, è in grado di spostare le montagne. Parola di un autore che sa bene di cosa parla
La timidezza non è una malattia. È un atteggiamento che si può avere nella vita, certamente involontario, che merita di essere considerato e rispettato. Vissuta nel riserbo, la timidezza può rappresentare un valore da amare, come la lentezza accompagnata dal silenzio. Talvolta, però, questo atteggiamento ci dà un’impressione di falsificazione del vero.
Se le nostre idee diventano dipendenti dalle nostre emozioni e quindi dal modo in cui il nostro corpo reagisce, la verità infatti si allontana o si opacizza.
Il timido è una persona ossessionata dall’idea della verità, dall’idea di essere alla luce del sole, sotto lo sguardo degli altri. Si sente di fronte a un pubblico che si aspetta da lui informazioni, o performance (come nello sport) o esercizi di virtuosismo (come un pianista o un violoncellista).
La persona timida è abitata dalla paura. Paura di tutto. Questa è la sua debolezza, il suo problema. Il coraggio lo conosce. Prova ne è che sale sul palco per parlarti. E definisce il coraggio come la paura di avere paura. Supera la paura, continuamente. La combatte e si esercita per ridurla a nulla.
Viviamo sempre più immersi in un mondo di spettacolo, come disse Guy Debord nel 1967. Questo saggio ebbe un enorme impatto sul movimento rivoluzionario del maggio ’68 in Francia. La persona timida è quella che rifiuta la Società dello spettacolo. Ne conosce molto bene, infatti, i meccanismi e l’inganno. Ne conosce il funzionamento e i pericoli. Vorrebbe denunciarli, ma qualcosa di più forte di lui gli impedisce di esprimersi. Farlo parlare dipenderà da te. «Lo spettacolo – ci dice Guy Debord (si rivolse così al movimento situazionista italiano nel 1969) – è un alimento di cui la società si nutre; essa finisce per credere che questo sia il suo ambiente naturale».
Tutto è rappresentazione. Dietro vi è una logica di mercato. Si tratta di quella stessa ideologia materializzata. Il valore di mercato lotta per sé stesso. Si impone ovunque come se fosse l’unico. Ebbene, la timidezza è proprio l’atteggiamento di chi ha capito che non vuole partecipare a questo spettacolo. Esita, arrossisce, balbetta, poi lascia la scena. Decidendo di assentarsi, si rende conto della sua solitudine e se ne accontenta. Non si lamenterà.
Invece di vedere in questo un comportamento fallimentare, è meglio analizzare ciò che presuppone e cosa significa.
La persona timida odia ciò che è diventata la politica. Con i media, con la velocità spaventosa della comunicazione, il timido si sente in esilio. Di fronte al diluvio di informazioni, vere o false, belle o brutte, grandiose o patetiche, l’uomo è indifeso: tutto è stato studiato perché sia un elemento importante del funzionamento dello spettacolo. Se tutti decidessero di non guardare più le trasmissioni televisive in continuazione, se tutti distogliessero lo sguardo dal circo che li circonda, gli attori della società dello spettacolo si ridurrebbero rapidamente alla disoccupazione e allo smarrimento.
La società dello spettacolo è la macchina predisposta per combattere e dirottare la democrazia. E tutti i suoi sforzi mirano a instillare negli uomini una sorta di naturale accettazione delle cose, la certezza e soprattutto la desiderata assenza di dubbi. Étienne de La Boétie (1530-1563), famoso amico di Montaigne, disse: «Tutte le cose diventano naturali per l’uomo quando egli vi si abitua. La prima ragione della servitù volontaria è l’abitudine».
Questo è esattamente ciò che ha capito il regista della Società dello spettacolo: limitare ingiustamente la libertà facendo credere all’uomo che è una sua scelta, la sua stessa libertà. È un meccanismo perverso.
Il timido è un resistente. Nietzsche dice nella Gaia scienza che «Ubi nihil vales, ibi nihil velis», dunque la mia volontà non deve estendersi oltre il mio potere.
Il timido ha forza di volontà, rifiuta di essere costretto; avanza lentamente, spesso dubitando di tutto, come consiglia Cartesio, metodicamente. Non è una debolezza. È rispetto per la verità. Dobbiamo dire la verità e viverla senza clamori, senza artifici. Questa è la volontà dei timidi.
C’è un’area in cui la timidezza diventa un handicap. Il campo dell’amore. È stato Roland Barthes a definirlo meglio di chiunque altro. Lui stesso era molto timido e soffriva nella sua vita sentimentale disseminata di esitazioni e fallimenti per la paura di dichiararsi, di confessare il suo amore. Dubitare continuamente rovina l’avventura amorosa. Essere innamorati, ci dice Roland Barthes, significa aspettare. Trascorrere il proprio tempo aspettando un segno dell’altro, una telefonata, una breve missiva, qualcosa che conforti le aspettative di chi aspetta.
E poi c’è il silenzio, nemico dei timidi. Tanto quanto il rumore e lo spettacolo, il silenzio è ansia. Così, il silenzio della persona amata e attesa è un omicidio silenzioso, un crimine senza tracce, senza sangue, senza rumore. Moriamo per aver aspettato e per essere stati dimenticati, trascurati, non amati, cioè non riconosciuti nel nostro essere profondo. Il timido è colui che soffre in silenzio. La sua umanità è messa a dura prova. Lui ha bisogno che qualcuno gli tenda una mano, che gli dica una parola di amicizia, di accoglienza, di benvenuto. Ciò faciliterà il suo accesso alla parola e all’azione.
Si dice che fossero i timidi, durante la guerra, a comportarsi da eroi. Hanno superato la paura e hanno affrontato il pericolo con coraggio, anche se ciò significava morire. Chi è chiassoso, chi è arrogante e parla troppo, spesso è un codardo. Di fronte all’azione, si ritira e trova una scusa per non farsi avanti.
C’è il filo dell’evidenza e c’è l’equivoca oscenità del mondo. La timidezza esita e diffida sia dell’evidenza che dell’oscenità di certe situazioni del mondo.
E poi c’è la vergogna. Il timido la conosce bene, la frequenta e la addomestica. Ma non ha motivo di vergognarsi di nulla.
Quindi il timido è colui che si vergogna pur non avendo commesso alcun reato. Tutto il lavoro consiste nel sottrarlo alla morsa della vergogna che non ha ragione di essere. Liberarlo. Una volta libero, è in grado di spostare le montagne. Ne so qualcosa. Sono un ex timido.
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