Robinson, 4 agosto 2024
Un breve testo di Tullio De Mauro ricorda il suo impegno per la democrazia a partire dalla comprensione, per tutti, delle parole
È un piccolo libro dei Tascabili Laterza, non supera le 120 pagine. Ma contiene alcuni fondamentali insegnamenti che sarebbe necessario far circolare oggi: tra le classi dirigenti, a scuola, nel dibattito pubblico, negli infiammabili social media. Perché niente di quel che sosteneva oltre dieci anni fa Tullio De Mauro – dopo averne fatto oggetto di una lunghissima battaglia civile – risulta estraneo alla nostra sensibilità di oggi. A cominciare da quell’enorme problema che è la capacità di comunicare del ceto politico e intellettuale di ispirazione progressista, a cui oggi si richiedono non risposte semplici a problemi complessi, ma risposte complesse, spiegate però in un linguaggio semplice, accessibile a tutti.
Anche sul piano della comunicazione, e dello sforzo linguistico in particolare, bisogna tornare alla Costituzione, all’eccezionalità della Carta. Un testo lungo poco più di novemila parole, 9.369 per essere precisi. Che sono le repliche di soli 1.357 lemmi: di questi 1.002 appartengono al vocabolario di base, ossia a un insieme di vocaboli dimassima frequenza nello scritto e nel parlato oppure di altissima familiarità. «Il cuore dell’immensa massa lessicale», lo definisce il linguista. Quando si trattò di disegnare l’architettura della democrazia italiana, indicando i suoi valori fondamentali, i nostri costituenti si sforzarono di farsi capire da tutti.
Non solo ricorrendo al vocabolario di base, ma anche componendo periodi brevi, non oltre le venti parole per frase. Un lavoro linguistico straordinario che fa della Carta un unicum sia rispetto «alla frustrante illeggibilità del corpus legislativo italiano» sia rispetto a una produzione letteraria «malata di neolalismo, come lo chiamava Gramsci: frasi lunghe e complicate». E fa oggi sorridere il no reciso opposto da padri e madri della Repubblica al tentativo di Pietro Pancrazi, intellettuale crociano molto ascoltato all’epoca, di impreziosire qualche parola del testo costituzionale. Lo sforzo di nitore rispondeva a un’urgenza di natura morale e civile. E a questa stessa limpidezza dovrebbero tendere tutti coloro che vogliono difendere la cultura democratica dall’incultura populista che, pur parlando in nome del popolo e con parole del popolo, si muove in direzione ostinata e contraria ai suoi interessi.
E qui veniamo a un altro tema trattato da De Mauro, il quale spiega perché nella vicenda politica italiana del secondo Novecento chi è stato dalla parte dei diritti e della democrazia ha sentito il bisogno di farsi compagno di strada del Pci, anche senza condividerne la radice culturale. È una spiegazione cristallina, evidentemente autobiografica. Replicando a una rivista che l’aveva collocato in area marxista, ripercorre la propria formazione crociana, l’esperienza a Nord e Sud, il Mondo di Pannunzio, lo studio di Wittgenstein e Saussure: tutte bussole intellettuali distanti dall’universo comunista. Ma questo non ha impedito a molti pseudoliberali di schiacciarlo su quella ideologia.
E allora lo studioso formula una domanda: perché in Italia «quanti hanno posto problemi di liberazione e libertà o, negli studi, di correlazione con le effettive pratiche sociali» sono stati così indebitamente appiattiti sul comunismo o sul marxismo? È colpa loro? O qualcosa non funziona nella nostra cultura sia politica che intellettuale?». Chi ha affiancato il Partito comunista «non ignorava certo quanto di oppressivo esistesse in Urss, e tuttavia percepiva nella situazione italiana elementi illiberali di stallo e di oppressione» che solo aggregandosi al Pci si poteva sperare di rimuovere. «In Europa sarei un socialdemocratico, forse un conservatore», diceva Leonardo Sciascia che votava per il Pci senza essere comunista. Voleva solo scuole funzionanti e ospedali efficienti.
Nella testimonianza di De Mauro e di altri come lui si possono riconoscere svariati milioni di italiani: gli stessi a cui larga parte della classe politica di destra chiede di ritrattare il voto al Partito comunista come condizione necessaria per poter abiurare il fascismo: come se si trattasse di un derby tra squadre analoghe, con eguali responsabilità. Nel silenzio complice di tanti nostri maîtres à penser cosiddetti liberali, sempre al calduccio di convinzioni che mai mettono in discussione il potere costituito.
Un’ultima riflessione attualissima di De Mauro riguarda la progressiva dealfabetizzazione degli italiani. Era una sua ossessione, mai presa in considerazione dalle classi politiche, neppure da quelle di sinistra. La percentuale di italiani con piena padronanza alfabetica e numerica è inferiore al trenta per cento. Invece di intervenire su questa che è una grave ferita della democrazia, molti politici hanno cercato di trarne vantaggio, adattando la propria retorica bugiarda a una popolazione analfabeta. «I fatti stanno là. Anche se li ignoriamo», concludeva lo studioso. «E se li ignoriamo si vendicano». La vendetta è già arrivata da tempo.