Robinson, 4 agosto 2024
La raccolta dei versi di Patrizia Cavalli, che ci ha lasciati due anni fa, restituisce intatto il suo mondo: tutta vita, zero retorica
A due anni dalla sua scomparsa, appare un’ampia scelta dell’opera poetica di Patrizia Cavalli, una delle figure più lette e giustamente amate della nostra poesia di questi ultimi decenni. Sono testi che vanno dal 1974 fino al 2020, compresi in un volume curato da Emanuele Dattilo, a cui si deve anche l’introduzione che mette in luce alcuni caratteri essenziali dell’autrice, partendo dal suo incontro, da giovane, con Elsa Morante, alla quale aveva mostrato i suoi primi testi, ricevendone una chiara dimostrazione di stima.
Seguirà ben presto l’esordio, avvenuto appunto nel 1974 con una raccolta intitolata Le mie poesie non cambieranno il mondo e apparsa da Einaudi come le seguenti. In quegli anni appariva subito molto evidente la distanza originale, nella piena autenticità, della sua poesia, da quella delle linee dominanti dell’epoca. Patrizia Cavalli (era nata a Todi nel 1947, si trasferì a Roma nel 1968), si mostrava estranea a ogni possibile forma di sperimentazione proposta allora da autori che erano suoi più o meno coetanei.
La sua pagina ci mette in contatto, costantemente, con l’ambigua o complessa concretezza di una quotidianità rispetto alla quale Cavalli coglie una viva sottigliezza molteplice di senso. Si muove nella realtà anche minima della sua esperienza, registrandone le impressioni nelle loro sfumature, proponendosi in una fittissima, sorprendente (anche per lei, che ne dà poeticamente conto) circolazione di umori.
Il lettore ne viene regolarmente coinvolto, specie in virtù della limpida forza comunicativa – così rara nella poesia di secondo Novecento – che ne segna ogni passaggio. Il suo cammino, nel corso dei decenni, si apre e varia, ma in modo però sempre coerente, rendendo la sua voce immediatamente riconoscibile.
Nella poesia di Patrizia Cavalli si possono incontrare improvvise accensioni, momenti in cui la sua sensibile registrazione del reale, immersa in innumerevoli situazioni, passa dall’opacità materica a improvvise, ma in fondo attese, accensioni di luce. Così come si evidenzia l’ambiguità del sogno, alimentato e quasi rispecchiato nel manifestarsi in quello che lei definisce il suo «immenso campo di memoria».
Nel corso del tempo si evidenzia una dichiarata visione delle cose come se si trovassero collocate sulla scena (si veda un titolo come Sempre aperto teatro, del 1999), ma è la scena della normalità di una vita in cui Cavalli manifesta, sempre con discrezione estrema, i momenti di stupore vissuti nel teatro dell’esserci. Così come questa adesione all’esistere, con tutte le sue contraddizioni, la porterà a un titolo, quello del suo ultimo libro pubblicato in vita, nel 2020: Vita meravigliosa.
Un titolo che trova un’eco anche in questa raccolta postuma, nella sua esemplare modestia aperta: Il mio felice niente, evidenziando una sua, pur inquieta, adesione all’esistere. Quanto poi alla centralità dell’io, la possiamo certo osservare come linea guida nel procedere, ma non di meno con momenti in cui l’identità di chi parla sembra pressoché scomparire.
La scrittura di Patrizia Cavalli conserva sostanzialmente, nel corso dei decenni, la propria fisionomia, legata all’uso di una lingua, di estrema esattezza, basata, come si legge appunto nell’introduzione alla raccolta, su una tranquilla «fiducia nella propria voce». E comunque ben oltre quella idea di “semplicità” che spesso, ma troppo superficialmente, le è stata attribuita. Una voce che si esprime in una lingua in genere colloquiale, ma che sa anche giocare non raramente, magari in chiave ironica, con la rima libera, tanto che lei stessa dice di venirsi a trovare più volte «nell’incidente della rima».
Una voce poetica, dunque, che sa articolarsi, senza sottolinearlo mai, secondo le modalità di una raffinata e antiretorica costruzione del singolo testo. Creando uno stile limpido, certo, ma spesso utilizzando inflessioni prosastiche.
Quello che risulta più evidente, anche per un lettore che si sia trovato ad affrontarne i testi fin dagli esordi, come suo pregio decisivo, è la sua tenuta indubbia nei decenni, anzi la capacità di crescere sempre più con il passare del tempo e con l’abbandono di ogni forma di ideologia letteraria. La capacità di rivelare nuovi vitali aspetti, diciamo pure inattesi, nel segno di una non esibita complessità interna.
Affidarsi alla sua parola è dunque poter entrare in una realtà testuale dove la densità delle impressioni si esprime a strati che variano nel tempo, secondo le virtù che solo un protagonista della scena poetica può solitamente rivelare.