La Stampa, 6 agosto 2024
Attori discriminati
La casa è piena di persone. Molte hanno un background migratorio. Africano, caraibico, arabo. Potrebbe essere una casa di Parigi, Londra, New York. Ma è una casa di Roma invece. Perché anche Roma è plurale da tempo, anche se spesso non la vediamo descritta così dal mainstream. La casa è piccola, accogliente, sul tavolo salatini, cous cous, tranci di pizza. Si sta festeggiando la buona riuscita delle due giornate dedicate alla drammaturgia afroamericana, e legate al progetto di Valentina Rapetti Cittadinanze teatrali: la drammaturgia afroamericana come forma d’arte attivismo e agente di cambiamento sociale. Le giornate, sponsorizzate dall’ambasciata degli Stati Uniti, hanno visto una doppia messa in scena – a Villa Torlonia e al Teatro India – di due opere della drammaturga statunitense, Premio Pulitzer, Lynn Nottage, Puf e Fabulazione o la rieducazione di Undine, Regia di Paola Rota, tutto fatto con il coinvolgimento di numerose maestranze afrodiscendenti italiane e non solo, che lavorano nel teatro e nel cinema italiano, non senza difficoltà. Infatti teatro e cinema, ma in questo contesto andrebbe anche aggiunta la tv, non sono contesti aperti purtroppo alla pluralità. Lo schermo e la scena sono attraversati da una linea del colore feroce che toglie rappresentanza, e taglia fuori le storie e i corpi non bianchi o considerati erroneamente non italiani.
Il progetto è nato per rompere il silenzio sulla situazione. Valentina Rapetti, dell’università della Tuscia, traduttrice dei testi di Nottage, dice subito che «l’ipotesi di partenza della ricerca è che esista una relazione tra la mancata approvazione della riforma della legge sulla cittadinanza (ius soli temperato e ius culturae) e la puntuale esclusione di narrazioni, artisti e spettatori di ascendenza africana dall’orizzonte teatrale italiano». Esiste, in altre parole, un parallelismo tra rappresentanza politica e rappresentazione simbolica. La ricerca si chiede: quante persone razzializzate sono presenti nelle principali agenzie di formazione teatrale e cinematografica in Italia? Quanti spettacoli scritti da soggetti razzializzati vengono messi in scena dai teatri italiani? Una ricerca vasta che se da una parte vuole portare in Italia i testi di autori afroamericani da Zora Neale Hurston a Lorraine Hansberry, ha anche la segreta ambizione di creare una rete tra le maestranze di italiani neri e/o razzializzati.
L’affermazione di Rapetti, ovvero della nefasta presenza della linea del colore, è corroborata anche dalle biografie degli artisti e delle artiste, che non a caso, hanno un percorso accidentato, intermittente, che rischia di frustrare anni di lavoro, talenti e sacrifici. Uno che di talento ne ha molto è Germano Gentile, noto per il Legionario regia di Hleb Papou e Et in Terra Pax di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, un anno all’accademia Silvio d’Amico e un diploma al Centro sperimentale: «Pensavo – dice – che il mondo del cinema fosse pronto. Pensavo che ci fosse lavoro. Ma uscito dal Centro sperimentale mi sono scontrato con la dura realtà, ovvero ruoli stereotipati ovviamente sempre i soliti: l’autista, il buttafuori, il criminale. Quasi mai ruoli da protagonista».
La stessa difficoltà l’ha riscontrata anche Alberto Boubakar Malanchino, noto per le serie Summertime, Doc – nelle tue mani, Guida Astrologica per Cuori infranti e altri lavori, tra cui il monologo Sid, fin qui tutto bene per cui ha vinto il premio UBU under 35 «ci troviamo in una situazione molto particolare dove da una parte veniamo magari visti come persone che hanno pochi competitors, ma dall’altra per l’accesso a dei ruoli un po’ più interessanti si viene scartati automaticamente». Malanchino, non a caso auspica una «fusione di competenze» nella creazione di personaggi e storie plurali ovvero «mettere all’interno delle produzioni, e in modo specifico nei gruppi di scrittura, anche persone che conoscano il tipo di argomenti che si vanno a toccare. Perché chi ha la competenza della scrittura non sempre vive in prima persona certe dinamiche o problematiche e spesso non chiede. Il rischio è la generalizzazione». A questo si riallaccia anche Esther Elisha, italo beninese, nota per film come Las Bas di Guido Lombardi e Tutto può succedere, assistente alla regia nella messa in scena dei testi in italiano della drammaturga Lynn Nottage: «La difficoltà – dice – è proprio la mancanza di ruoli scritti da afrodiscendenti o con un elemento di diversità di qualunque tipo. Non va bene essere sempre visti attraverso lo sguardo di chi ha un’esperienza da maschio bianco o anche da donna bianca. Questo fa sì che i personaggi siano raccontati sempre con un’ottica esterna trascurando la complessità dell’esperienza diretta. E di fatto porta il pubblico che fa parte di queste comunità a non riconoscersi, non creando poi una fidelizzazione. Scrivere e dirigere, non vedo altra soluzione».
Gentile vorrebbe spingere il cinema ad osare di più e non raccontare «le solite storie della borghesia romana» ma dare voce «alle tante storie di persone arrivate in Italia già trent’anni fa». Il suo consiglio sembra aver trovato un’eco nel lavoro della regista Daphne di Cinto che con il suo Il Moro, interpretato proprio da Alberto Boubakar Malanchino, ha dato corpo ad un italiano di qualche secolo fa: Alessandro de Medici, figlio di Papa Clemente VII e una donna nera schiavizzata, Simonetta da Collevecchio, vissuta tra Palazzo Madama e le campagne del Lazio: «Alessandro de Medici aveva un background simile al nostro. Una storia incredibilmente interessante, la scintilla che mi ha spinta è stata la consapevolezza di quanto rappresentare visivamente questo personaggio importantissimo per la storia italiana, sarebbe stato rivoluzionario per tutti, sia per gli italiani bianchi sia per gli italiani neri». Naturalmente la regista non nasconde le difficoltà: «La storia con il nero non vende, detta molto terra terra come la dicono e quindi no, non la facciamo. A livello culturale c’è una volontà di separare l’esperienza afrodiscendente dall’esperienza umana: quando c’è un personaggio afrodiscendente la storia si concentra sul suo essere razzializzato e non semplicemente sull’essere un personaggio come tutti gli altri del film».
Malanchino propone un tavolo, un confronto «con chi lavora dall’altra parte : produttori, produttrici, autori» mentre Gentile dice «dobbiamo cercare di farci strada con la bravura questa è l’unica arma che oggi abbiamo» e poi confessa un suo sogno «spero un giorno di aprire una produzione e produrre progetti dove c’è una multietnicità all’interno del cast tecnico». Utopia? Probabilmente no. La rivoluzione sta già camminando. E va veloce. —