Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 06 Martedì calendario

La chimica in giallo


«Da chimico un giorno avevo il potere / di sposar gli elementi e di farli reagire / ma gli uomini mai mi riuscì di capire / perché si combinassero attraverso l’amore / affidando ad un gioco la gioia e il dolore». Il chimico cantato da Fabrizio De André conosce le leggi della tavola periodica e non quelle della psicologia, il chimico Marco Malvaldi, invece, fin dai tempi dei Delitti del Barlume usa la scienza per costruire le sue trame gialle come se fossero ossido-riduzioni, da qualche tempo unendo le forze con la moglie Samantha Bruzzone, chimica pure lei, incontrata all’Università.
Naturalmente la loro eroina Serena Martini è chimica, oltre che esperta sommelier: La regina dei sentieri è la sua seconda avventura al fianco dalla sovrintendente di polizia giudiziaria Corinna Stelea, un metro e 90 di astuzia e testardaggine. A scatenare l’alchimia del mistero stavolta è un vecchio Ape riemerso da un laghetto prosciugato alla Tegolaia, enorme tenuta vinicola nei pressi di Bolgheri, di proprietà di una multinazionale olandese. A guidarlo era il burbero marchese Crisante Olivieri Frangipane, proprietario di un’azienda più piccola ma di altissima qualità, scomparso anni prima. Cosa è successo tra i filari di vite? Sullo sfondo del delitto si scontrano due modi di produrre il vino, tradizionale o globalizzato; il che permette alla coppia Malvaldi-Bruzzone di scivolare dalla chimica all’enologia, altra passione di entrambi fin dai tempi dell’università. E sarà proprio il vino la chiave per risolvere l’enigma. D’altronde, dice Malvaldi, «è il miglior lubrificante sociale che esista: gli devi dare la giusta attenzione, il giusto tempo, la giusta compagnia».
Le detective sono due donne. È difficile per Malvaldi il punto di vista femminile?
Malvaldi: «Diciamo che ho avuto un vantaggio sleale: una donna come coautrice. Vivo con Samantha da quando ho 23 anni, è diventato difficile distinguere tra quello che penso io e quello che pensa lei».
Com’è lavorare a quattro mani, nei libri e nella vita?
Bruzzone: «Ci è venuto naturale, avendo molti interessi in comune e l’abitudine di scambiarci continuamente informazioni e opinioni. Nella scrittura ci siamo divisi i compiti riconoscendo le rispettive abilità anche se, come è facile immaginare, i malumori e i brontolii ogni tanto ci sono. I meccanismi della trama li curo io, i dialoghi sono tutti di Marco ma alla fine è difficile dire chi ha avuto le singole buone idee. Cioè, le ho avute quasi sempre io, ma non posso dirlo sennò Marco si offende».
Malvaldi: «Devo essere sincero: non ce la faccio più. Il mio bieco scopo, lo ammetto, è avviare una transizione per cui fra qualche anno Samantha scriva gialli da sola e io possa guardare il calcio e cucinare tutto il giorno. Ma non lo dica a nessuno».
Serena e Corinna sono dalla parte sbagliata dei 40 anni, non hanno atteggiamenti seduttivi e a uno sguardo superficiale sembrano due fallite, una nel lavoro e l’altra nella vita personale. Come mai?
Malvaldi. «Mi colpì molto, una volta, l’osservazione di Esmahan Aykol, una scrittrice turca che sosteneva che dopo una certa età le donne diventano invisibili. Le disparità sociali e le aspettative tra uomo e donna cambiano radicalmente dopo i quarant’anni, non necessariamente attenuandosi. Quanto all’essere considerate fallite, è un modo per sottolineare come nella società per una donna sia estremamente difficile essere sia una lavoratrice realizzata che una madre di famiglia realizzata; nei rari casi in cui succede, di solito c’è qualcun altro (marito o altro) che fa il casalingo a tempo pieno. Fin quando a un maschio sembrerà strano vedersi scritto “casalingo” sulla carta d’identità, è un problema destinato a durare. Ma per converso, ho visto tanti maschi con una carriera piena e soddisfacente, convinti di essere completamente realizzati, con figli sbandati e tossicodipendenti. Anche lì il fallimento c’è, ma il maschio medio non se ne accorge finché non è troppo tardi».
La chimica è la vera protagonista dei vostri gialli. Come è nato il vostro amore per questa materia? Quanto è letteraria la chimica?
Malvaldi: «Io ho sempre amato la scienza. Avrei dovuto iscrivermi a medicina, ma mio padre (professore di immunologia) venne eletto preside di facoltà e mi venne piuttosto spontaneo cambiare idea… Che la chimica sia letteraria, non c’è dubbio: basta pensare a Il sistema periodico di Primo Levi, con la sua meravigliosa analogia tra comportamenti di specie atomiche e comportamenti umani».
Bruzzone: «Dire chimica vuol dire un modo di vedere il mondo che non ti lascia mai, anche se non ne fai un mestiere. Personalmente l’ho incontrata da grande, al liceo (classico) e pur essendo una materia scientifica mi è sembrata possedere una dose di poesia e fantasia incredibile, molto lontana dall’idea di aridità e materialismo che le viene attribuita. È la scienza del divenire e insegna a guardare dietro l’apparenza, verso il vertiginosamente piccolo ma autoconsistente».
A un certo punto del libro si parla di un ripensamento nella divisione tradizionale italiana tra cultura letteraria e scientifica. Cosa ne pensate?
Malvaldi. «La separazione tra materie scientifiche e letterarie, mi sia permesso di dirlo, è una solenne stronzata; è un retaggio della riforma Gentile, che innalzava come materie formative solo quelle umanistiche. Come conseguenza, si è creata una asimmetria: persone che lavorano in ambito scientifico hanno comunemente un buon bagaglio umanistico, anche solo dato dall’essere forti lettori di romanzi, mentre è rarissimo che un umanista abbia competenza scientifica. Nell’epoca dei big data e dell’intelligenza artificiale, non saper leggere una statistica non è solo incompetenza, è irresponsabilità; è come guidare usando solo l’acceleratore e mai il freno…»
Bruzzone. «C’è poesia nella scienza e sicuramente metodo nelle materie umaniste, imporre una separazione mi sembra sterile per non dire concettualmente sbagliato. Una riforma dovrebbe prima di tutto eliminare questa separazione e ristabilire parità di dignità ad entrambi i campi: se una volta erano le “lettere” ad essere considerate la vera cultura, oggi si tende di più a dare importanza alle materie scientifiche, perché considerate più utili. Ma come si fa a dire cosa sarà utile nel futuro e soprattutto nella formazione di una persona? In questo senso trovo terribili gli indirizzi scolastici eccessivamente specialistici, i vari licei sperimentali con potenziamenti in materie applicative a scapito di latino e filosofia».
Malvaldi, nei suoi libri salta all’occhio il sense of humour dei personaggi, è lo stesso della sua vita quotidiana?
Malvaldi: «Piuttosto, è lo stesso che vorrei avere io in ogni situazione. A volte ci riesco, a volte no. In realtà non sono rare le situazioni in cui nei libri riporto, ridendoci su, situazioni che nella realtà mi hanno fatto incavolare come un rinoceronte. È il lato positivo della scrittura: quando ti succede qualcosa che non va come ti aspettavi, hai la possibilità di farla rivivere e di pilotarla, come un sogno pienamente cosciente della sua natura. Nella vita quotidiana talvolta rido di me (e degli altri), ma più spesso cerco di ridere con gli altri».
Bruzzone, cosa le piace del genere giallo? Il puzzle dell’indagine? Lo studio delle motivazioni? L’affresco sociale?
Bruzzone: «Direi un po’ tutte queste cose. In un bel giallo in particolare cerco sempre la sfida al lettore a risolvere l’enigma prima dell’investigatore; infatti, per me il giallo perfetto è quello all’inglese: ambiente ben definito, storicamente e spazialmente, relativamente pochi personaggi chiari e rotondi nella caratterizzazione, un buon investigatore e tutte le carte in tavola. Non apprezzo quelle storie in cui il movente affonda le radici nel passato e l’informazione viene fuori solo alla fine o, peggio ancora, quelle in cui l’indagine avanza per coincidenze e intuizioni geniali ma ingiustificate. Ammetto una sola eccezione: i gialli di Simenon; al commissario Maigret perdono tutto».
Raccontate bene la mutazione sociale della Toscana, diventata una sorta di resort gastro-eno-culturale per turisti ricchi. Come è successo?
Bruzzone: «Mi piacerebbe saperlo. Almeno nella zona di Maremma in cui è ambientato il libro l’evoluzione è stata lenta per circa un decennio e poi esplosiva in questi ultimi anni. Colpa o merito delle mode e dei social che hanno aiutato a far conoscere questo angolo di Toscana e della sempre maggiore offerta. Laddove, va ammesso, maggiore non vuol dire migliore. In tutta la regione il dibattito è acceso, perché spesso i servizi offerti al turismo di massa, veloce e un po’ inconsapevole, o viceversa prodotti dalla gentrificazione in alcune zone, vanno a discapito di quelli offerti ai residenti».
L’immagine del titolo, quella della “Regina dei sentieri”, è bellissima, soprattutto in questi tempi di navigatori satellitari. Come vi è venuta?
Bruzzone: «Diventare la regina dei sentieri era un mio desiderio di bambina. In generale mi hanno sempre affascinato le mappe e le strade numerose e complicate: da piccola, quando andavo a trovare i nonni a Genova adoravo andare in giro per la città le sue colline con mio nonno Eugenio. Più erano stravaganti i percorsi e i mezzi che sceglievamo più ero contenta. La passione mi è rimasta e Marco e nostro figlio sono trascinati in esplorazioni estenuanti in tutte le città e montagne che visitiamo. Adesso ci sono appunto i navigatori satellitari ma la vera sfida è non perdere mai l’orientamento».
A proposito di figli, la descrizione di quelli di Serena è molto realistica. Cosa pensate delle nuovissime generazioni?
Bruzzone: «Nostro figlio ha 15 anni e vediamo crescere lui e i suoi amici con grande speranza. Sono una bella generazione decisa, che vuole sapere e capire. A differenza nostra, non hanno paura di far sentire le proprie opinioni».
Malvaldi: «Sono sicuramente molto più responsabili di noi su tanti temi, ne sono convinti sinceramente; hanno modi di interagire che a volte non capiamo, ma credo sia normale… spero si comportino in modo più maturo di noi, non dovrebbe essere difficile». —