Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 07 Mercoledì calendario

Quarant’anni di Sapore di Mare

Perché ogni estate ha sempre un suo Sapore di Mare, Enrico Vanzina se lo spiega così: «Non è un film sugli anni Sessanta ma senza tempo, un romanzo di formazione su come si diventa grandi».
 
E ora che, 41 anni dopo (uscì nel 1983), la pellicola, restaurata in 4K, torna nei cinema dal 29 agosto, sarà subito Celeste nostalgia: «Quel lampo negli occhi, ciao/ D’accordo fa male, ciao, ma tu/ Dentro di me non muori più». E vai con la scena finale stracult di Luca e Marina che si fissano in mezzo alla folla nel rimpianto di un amore. «Che poi Riccardo Cocciante era un mio compagno di scuola allo Chateaubriand, stavamo insieme anche ai boyscout e lui, sotto la tenda, ci rompeva le palle suonando per ore un piccolo sassofono, mai avrei pensato che sarebbe diventato quel genio che è», racconta Enrico, che snocciola infiniti ricordi. Tipo questo: «Christian De Sica i produttori non lo volevano assolutamente. Io e mio fratello Carlo, suo grande amico, lo abbiamo imposto. E alla fine si è visto che avevamo ragione. Curioso che Christian, che poi sarebbe diventato famoso come il prototipo del romano, lì invece facesse Felicino il milanese».
L’idea di Sapore di Mare era nata da una riflessione notturna, semplice e vera: «Che nella vita di ognuno di noi ci sono al massimo venti estati buone, tra i 17 e i 37 anni, in cui ti succedono tutte le cose più importanti, in amore, nel lavoro. Dopo si vive di rendita o si sopravvive». Ambientato a Forte dei Marmi, ma girato perlopiù a Fregene «perché c’erano pochi soldi, con un generico che faceva il bagnino e parlava toscano con tremendo accento romano, infatti fu doppiato», incassò bei 10 miliardi di lire. «Alla prima romana al cinema Empire, in mezzo agli spettatori, c’era Aurelio De Laurentiis. Finita la proiezione ci raggiunse entusiasta: “È un capolavoro, domani venite a pranzo con me che voglio farvi girare un film sulla neve. Era Vacanze di Natale, il contratto lo firmammo su un tovagliolo».
Capitò che per copione Virna Lisi dovesse schiaffeggiare Calà. «Si presentò da Carlo, dubbiosa. “Io gli schiaffi finti non li so dare”. E mio fratello, tranquillo: “E tu daglieli veri, non ti preoccupare”. E così andò. Il povero Jerry si prese delle pizze in faccia pazzesche, Virna lo gonfiò proprio». E che Isabella Ferrari-Selvaggia scalfisse la nota imperturbabilità del regista. «Pur avendo lavorato con le attrici più belle, sia io che Carlo, come nostro padre Steno, restavamo indifferenti, mantenendo il distacco più totale». Non quella volta. «Carlo aveva un debole evidente per Isabella, ne era infatuato, si prese una piccola sbandata, del resto lei allora era davvero straordinaria». Ma finì lì. «Non so se fu corrisposta, non accadde nulla. Però ora non partite con il gossip eh».
Vere erano invece le fitte di gelosia di Angelo Cannavacciuolo quando Jerry doveva baciare Marina Suma, che allora era la sua fidanzata: «Era tesissimo». E, appostato in zona ciak, controllava come un falco ogni mossa sospetta. Carlo fu folgorato dalla scena in cui Guido Nicheli – nel letto con Virna Lisi che gli ricorda di quando da giovani parlavano in macchina a Cortina – ribatte cinico: «Non mi ricordo che auto avevo. Cos’ero, un alfista o un lancista?». E lei: «Era una Porsche!». Enrico, che aveva steso soggetto e sceneggiatura con il fratello, ricorda: «Mi chiamò dal set con il telefono a gettoni, su di giri: “Questa battuta entrerà nella storia!”. E così è stato». Viene riciclata ancora oggi, come altre perle del Dogui.
«Tutto Sapore di Mare ha una vita lunghissima. Pensavamo di fare un film come L’ombrellone di Dino Risi, leggermente autobiografico, una fotografia del momento, invece è diventato il ritratto di intere generazioni. Ebbe successo, eppure noi che lo avevamo scritto e inventato fummo ignorati. Per questo, quando l’anno scorso mi hanno dato il David di Donatello, l’ho considerato come il premio che ci negarono allora».
@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}@font-face {font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; panose-1:2 2 6 3 5 4 5 2 3 4; mso-font-alt:"Times New Roman”; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859921 -1073711039 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:30.0pt; mso-bidi-font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; mso-fareast-language:EN-US;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-size:30.0pt; mso-ansi-font-size:30.0pt; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; mso-fareast-language:EN-US;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}