Corriere della Sera, 7 agosto 2024
Mollicone vuole sempre farsi notare
«Secondo te?», risponde in queste ore a tutti quelli che lo stanno cercando dopo le dichiarazioni sui processi sulla strage di Bologna per sapere se davvero da Palazzo Chigi l’abbiano chiamato per imporgli l’altolà, per capire quanto Giorgia Meloni sia imbarazzata o arrabbiata a causa del trambusto e del clamore. Che è un po’, anche se la grandezza del tema su cui si è esercitato stavolta è inimmaginabile anche solo accostarla al dossier toccato all’epoca, come quella volta che nel settembre del 2022, in piena campagna elettorale, il suo telefono aveva squillato con la stessa intensità, a seguito della richiesta di censura rivolta a mamma Rai a proposito di un episodio del cartone animato Peppa Pig, da lui contestato perché un personaggio aveva due mamme e per questo l’aveva considerato «inaccettabile indottrinamento gender».
Perché Federico Mollicone, a dispetto delle bretelle che lo fanno somigliare all’incrocio impossibile tra un personaggio minore di Wall Street e un agente immobiliare, è così. Prenderlo o lasciarlo. Romano, cinquantatré anni, secondo alcuni il vero inventore della kermesse di Atreju, senz’altro l’ideatore del primo logo col bambino de La storia infinita che impugnava indomito lo scintillante spadone, il presidente della commissione Cultura di Montecitorio sembra destinato al premio Generale Vannacci dell’estate 2024, che ormai è un po’ il Festivalbar della politica più estrema; quella che, consapevolmente o meno, approfitta dei bollori agostani e dell’agenda che langue per imporre all’attenzione del pubblico spigolosità e tesi ardite. Non sarà un caso se, nonostante a separare i due ci siano decenni di impegno politico (il generale è un novizio, il deputato di Fratelli d’Italia stava nel Fronte della gioventù da giovanissimo), anche Mollicone non esclude di mettersi presto a lavorare a un libro proprio sulle sentenze di Bologna, «magari con una bella appendice audiovisiva in dvd», studiate da quando negli anni Novanta presidiava l’ufficio stampa di Alleanza nazionale seguendo l’attività in commissione Stragi del deputato Enzo Fragalà, che proprio per certe posizioni eterodosse in materia di giustizia a un certo punto smise di essere candidato.
Il gusto per l’eterodossia, d’altronde, accompagna anche Mollicone da quand’era ragazzino, quando si era beccato dieci punti in testa e dieci centimetri di cicatrice tutt’ora nascosti dalla bianca chioma per «’na cascata» (una botta di casco) dai centri sociali nel bel mezzo di una manifestazione in favore dell’indulto per reati politici. E dev’essere in fondo questo, l’insopprimibile desiderio politico di assumere spesso posizioni quantomeno «oltriste» e di sposare cause a volte «fuori linea», che l’ha spinto di recente a tuffarsi con tutto se stesso nella rissa-aggressione di cui rimase vittima il cinquestelle Donno durante il dibattito parlamentare sull’autonomia differenziata; oppure a definire, come fece in diretta tv un annetto fa, «la maternità surrogata un reato anche peggiore della pedofilia». La scalata dalle brevi del Secolo d’Italia ai titoli dei grandi giornali è arrivata così, con quella che lui chiamerebbe «tempra del combattente» e altri più semplicemente «tendenza a spararle grosse».
L’estate, come fu per Vannacci, in certi casi aiuta, in certi altri penalizza, in altri ancora né l’una o né l’altra o tutte e due. In quella di due anni fa, nella coda della campagna elettorale che portò la sua destra a una vittoria storica e Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, forse Mollicone sperava in cuor suo di riuscire a rientrare nei ranghi dell’esecutivo, magari anche solo come sottosegretario. Ne ricavò la presidenza di una commissione parlamentare e la conservazione di quell’antica dote nel farsi notare. Rimasta evidentemente intatta, due anni dopo.