Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 06 Martedì calendario

Se i regimi si uniscono

L’Asse del Male, versione 2.0: la Russia fornisce armi all’Iran, per assicurarsi che non gli manchi potenza di fuoco nell’escalation del conflitto. L’espressione «Asse del Male» evoca pessimi precedenti. Fu George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 ad aggregare in quella coalizione di nemici del mondo libero l’Iran degli ayatollah, l’Iraq del dittatore Saddam Hussein, e la monarchia comunista della Corea del Nord. Non portò fortuna a nessuno. Di lì a poco la decisione d’invadere l’Iraq – falsamente accusato di complicità con Al Qaeda nell’attentato alle Torri Gemelle – fu l’inizio di un capitolo disastroso nella politica mediorientale degli Stati Uniti.
Che cos’è quello che oggi la teocrazia sciita di Teheran chiama Asse della Resistenza? Un insieme di forze unite dal fanatismo religioso, dall’odio per l’Occidente e le nostre libertà; determinate a fare anche stragi di civili (compresi i «loro» civili) pur di imporre un disegno messianico. Un nesso unisce le torture inflitte alle femministe nelle carceri iraniane, gli stupri di donne e i massacri di bambini ebrei perpetrati da Hamas, la distruzione dell’ex-paradiso libanese da parte degli Hezbollah, la terribile miseria in cui il popolo yemenita viene mantenuto dall’oppressione degli Houthi.
Se si tratta di un Asse della Resistenza, di sicuro ha resistito a ogni opportunità di progresso, diffusione del benessere, dell’istruzione, dei diritti. Basta confrontare le condizioni di vita delle popolazioni soggette a questo Asse della Resistenza, con la rivoluzione silenziosa accaduta in una parte del mondo arabo: dal Marocco all’Arabia saudita passando per Emirati e Qatar. Nessuno di questi Stati è una democrazia, hanno tutti dei regimi autoritari, però hanno abbracciato dei progetti di laicizzazione, hanno ridotto la prepotenza del clero, hanno concesso più diritti alle donne, hanno migliorato le condizioni economiche per molti anche se non per tutti. L’Asse della Resistenza non resiste solo all’imperialismo americano e al sionismo; è in realtà un coacervo di forze criminali che uccidono sul nascere ogni speranza di liberazione nei loro popoli. La Russia non era a priori schierata con le forze dell’islamismo retrogrado, reazionario e oppressivo. Quando era ancora Unione sovietica sostenne la creazione dello Stato d’Israele e il suo riconoscimento all’Onu. Appoggiò regimi laici e anticlericali come Nasser in Egitto e sì, lo stesso Saddam Hussein. Fece guerra ai mujahiddin islamici in Afghanistan. Putin deve la sua iniziale ascesa al potere alla ferocia implacabile con cui schiacciò la rivolta musulmana in Cecenia. La sua recente conversione in favore dell’Asse della Resistenza è dettata da opportunismo, convenienza tattica, scambio di favori.
C’è un’analogia con l’alleanza tra Iran e palestinesi. Nel 1979, quando l’ayatollah Khomeini impose la sua teocrazia a Teheran, nulla lo predisponeva ad allearsi con il leader dell’Olp Yasser Arafat, un nazionalista laico che diffidava dei religiosi. Khomeini vide però l’opportunità di impadronirsi della questione palestinese per il proprio disegno: ricostruire un imperialismo persiano ai danni delle nazioni arabo-sunnite, in particolare contro la monarchia saudita. Atteggiarsi a protettore dei palestinesi e promettere morte a Israele fu una scelta cinica di Khomeini per i suoi fini di dominio geopolitico in Medio Oriente; non ha portato fortuna ai palestinesi.
Nel penultimo capitolo di questa vicenda l’Iran ha fornito armi alla Russia – missili e droni – per continuare la sua guerra d’aggressione in Ucraina. È stato un appoggio militare prezioso, quanto quello della Corea del Nord (chi si rivede: l’Asse del Male di Bush Jr?) e quello mascherato ma poderoso della Cina.
Putin ha mandato in missione a Teheran il suo consigliere strategico Sergei Shoigu per sancire lo scambio di favori: così come l’Iran ha fornito armi per bersagliare la popolazione civile ucraina, ora la Russia manda sistemi di difesa antiaerea ai Guardiani della rivoluzione islamica. Ma il do ut des è più ampio, al di là degli scambi militari si allarga a un interesse strategico.
Per Putin il massacro di Hamas il 7 ottobre 2023 è stato un meraviglioso regalo: ha distolto risorse e attenzione degli Stati Uniti verso un nuovo fronte, riducendo l’impegno per l’Ucraina. Putin ha interesse a che il conflitto in Medio Oriente si allarghi e si perpetui, donde il sostegno all’Iran la cui dirigenza religiosa è sempre fedele alle tre missioni sacre ereditate da Khomeini: distruggere Israele, cacciare l’America dal Medio Oriente, conquistare la Mecca e Medina sottraendo ai sauditi i luoghi sacri dell’Islam.
Xi Jinping per adesso ha tenuto una posizione diversa da Putin. Certo la Repubblica Popolare – che non esita a deportare in «campi di rieducazione» i suoi musulmani uiguri per estirpargli la religione dalla testa – mantiene rapporti eccellenti con l’Iran da cui importa tanto petrolio. Però due iniziative recenti della diplomazia cinese sono positive: Pechino ha mediato per il ripristino di relazioni diplomatiche fra Iran e Arabia saudita; e i suoi buoni uffici hanno consentito un riavvicinamento, sulla carta, tra le varie fazioni palestinesi incluso Hamas e l’Autorità della Cisgiordania. E bisogna sperare che il vertice delle nazioni islamiche riunito a Riad – con la presenza di una delegazione iraniana nella capitale saudita – metta finalmente in moto una iniziativa diplomatica araba, che finora non è stata all’altezza della tragedia di Gaza.
Mi sono concentrato sull’asse Russia-Iran per situare nella storia la missione di Shoigu. Non significa che altri attori non abbiano delle responsabilità tremende. Alcuni ambienti israeliani sembrano illudersi che le eliminazioni clamorose di leader di Hezbollah e Hamas abbiano ristabilito una «deterrenza» che era crollata il 7 ottobre. È meglio ricordare una regola delle organizzazioni reticolari, come sono molte milizie jihadiste: «Tutti i leader sono dei numeri due».