Corriere della Sera, 6 agosto 2024
Bangladesh nel caos: la premier in fuga dopo le proteste
C’è chi è uscito dalla dimora della premier sventolando il suo reggiseno, chi con in mano libri, sedie, mobili e persino pesci vivi prelevati dallo stagno in giardino. Un fiume di manifestanti ha assaltato e saccheggiato la residenza ufficiale di Sheikh Hasina, la lady di ferro del Bangladesh, costretta ieri alla fuga dopo un mese di proteste. «È la vittoria del popolo. Dopo tanto tempo, siamo felici di essere usciti da un regime», gongola Towfiqur Rahman a Dacca. «È un giorno fantastico, la fine di una dittatura», esulta un altro giovane in piazza, tra balli e cori di giubilo.
Questa marcia di massa era inizialmente prevista per oggi ma è stata anticipata dopo la carneficina di domenica, con un centinaio di giovani rimasti uccisi negli scontri con la polizia. Quando i dimostranti sono arrivati con il loro carico di rabbia, lei era già scappata via: in volo verso l’India a bordo di un elicottero militare, accompagnata dalla sorella Sheikh Rehana. La stessa che, con lei, sopravvisse allo sterminio della sua famiglia: le due sorelle erano all’estero insieme quando suo padre, il leader dell’indipendenza del Bangladesh ucciso nel 1975 durante un colpo di Stato dell’esercito: ieri ne è stata abbattuta la statua.
Anche ora i militari hanno avuto un ruolo decisivo per l’esito della crisi: sarebbe stato il capo di stato maggiore Waker-Uz-Zaman a convincere Hasina a lasciare. È stato lui a confermare le voci sulla dimissioni della premier e sulla sua fuga. In un discorso alla nazione sulla tv di Stato ha annunciato un governo militare ad interim da lui guidato: «Il Paese ha sofferto molto, è ora di porre fine alle violenze. Ora gli studenti devono mantenere la calma e aiutarci».
Ma gli studenti non ci stanno. In un post su Facebook, un portavoce di «Students Against Discrimination», in prima linea nella mobilitazione, ha criticato la formazione di un governo militare e chiarito che a decidere chi governerà il Paese saranno i protagonisti della «rivoluzione».
La miccia è stata la reintroduzione delle quote nei posti pubblici per i familiari dei veterani della Guerra di indipendenza dal Pakistan, combattuta nel 1971 proprio sotto la guida del padre di Sheikh Hasina, fondatore della Lega Awami, al governo dal 1996: per questo i veterani sono tradizionalmente vicini al partito della premier. Dopo aver incassato una prima vittoria, con l’abolizione di gran parte di queste quote, il movimento di protesta non si è fermato e ha assunto un tono antigovernativo più ampio in risposta alla feroce repressione, con oltre 300 morti: i ragazzi sono passati a chiedere le dimissioni di Hasina. Ora che hanno ottenuto anche questo, la battaglia prosegue. Ieri è stato un giorno di festa ma anche di sangue: almeno altri 56 giovani sono stati uccisi, in gran parte colpiti da pallottole.
Il pericolo di un colpo di mano militare fa temere un cambio di scenario rispetto a quello auspicato dagli studenti. L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, auspica «una transizione pacifica verso un governo democraticamente eletto». Così pure il segretario generale dell’Onu António Guterres e la diplomazia Usa.
Ora torneranno in libertà non soltanto gli studenti arrestati nelle recenti manifestazioni ma anche la ex premier e leader dell’opposizione Khaleda Zia. «Mia madre è molto delusa – ha detto alla Bbc il figlio della premier dimissionaria – lei è riuscita a cambiare il Bangladesh, quando fu eletta il nostro era considerato un Paese fallito. Oggi è una delle tigri emergenti dell’Asia». Hasina ha combattuto da musulmana laica la militanza islamista, ha sollevato milioni di persone dalla povertà, costruito infrastrutture ed è riuscita a tenere al suo fianco sia l’India che la Cina.
Ma questi successi sono macchiati dal piglio sempre più autoritario con cui ha governato il Paese per 15 anni. Con la sua fuga, il Paese inizia un viaggio verso l’ignoto.