la Repubblica, 7 agosto 2024
Cantami, Ovidio la tua ecologia
«Una pioggia d’oro cade dal cielo: | è l’amore di Giove. | Salta dal mare un pesce | e un uomo di Agrigento si ricorda di essere stato quel pesce». I versi sono di Borges, ma le immagini sono anche nostre, le conosciamo da sempre. Sono miti e antiche filosofie che dicono l’eterno principio della metamorfosi, quello che vede le nature fluire l’una nell’altra: dèi farsi elementi, uomini diventare animali, coscienze individuali sciogliersi nel mondo impersonale delle piante, delle pietre, dei ruscelli.
Duemila anni fa Publio Ovidio Nasone pensò bene di raccogliere oltre duecento di questi miti e scrisse leMetamorfosi, quindici libri di versi vorticosi che dal caos primordiale arrivano a cantare la gloria di Augusto. Poco dopo cadde in disgrazia (anche la fortuna muta), ma in compenso il suo poema divenne una delle opere più influenti della storia: di fatto ritorna tutte le volte che, nell’arte o nella letteratura, Dafne diventa un alloro sotto le dita di Apollo, Perseo brandisce a occhi bassi la testa serpentina di Medusa e Narciso si trasforma in un fiore.
Leggere leMetamorfosi è un’esperienza bellissima e un po’ spiazzante. All’improvviso, infatti, non ci sentiamo più così sicuri nei nostri confini. Canterò le forme mutate in nuovi corpi, avverte Ovidio. Ma mentre lo fa a noi pare che basti un passo falso per ritrovarci in un corpo sconosciuto, non più umano – anzi, se davvero le anime trasmigrano è solo questione di tempo.
E tuttavia, in quest’universo così fluido e cangiante è impossibile non sentirsi a casa. Ci sono legami ovunque e tutto funziona come un grande ecosistema in cui le immagini, per quanto iperboliche, stanno dicendo la verità: tutto è uno. E «ogni cosa è connessa a ogni altra», proprio come nella prima legge dell’ecologia enunciata dal biologo Barry Commoner nel 1971.
Lo spunto per una riflessione su Ovidio “ecologico” ci viene da un libro di saggi appena uscito presso l’editore angloamericano Bloomsbury, Ovid’s Metamorphoses and the Environmental Imagination (“Le Metamorfosi di Ovidio e l’immaginario ambientale”). Le curatrici sono due classiciste, l’inglese Francesca Martelli e l’italiana Giulia Sissa, entrambe docenti all’Università della California di Los Angeles.
Leggere le Metamorfosi in questa chiave è molto utile. Reinterpretando le storie di Fetonte, Medea, Pitagora, Deucalione e Pirra, Alcione, i vari capitoli ci suggeriscono che quei miti con cui gli antichi inquadravano le nostre relazioni con il Pianeta e gli altri viventi sono dispositivi validi ancora oggi. Prendiamo Fetonte: un giovane capriccioso che pretende di guidare il carro del padre, il Sole, ma poi lo fa sbandare e manda a fuoco il mondo. Ovidio ci mostra una Terra ribollente, in cui i fiumi sono diventati polvere,città, mari e monti bruciano, gli uccelli soffocano e «i corpi inanimati delle foche galleggiano supini» sulle onde.
Letto alla luce del global warming, fa una certa impressione, e infatti nel libro il poeta John Shoptaw riscrive la storia calandola negli incendi californiani e immaginando un Trump improvvido cocchiere. (È un déjà vuche sa di profezia. L’epilogo di Ovidio, però, parla chiaro: la Terra supplica Giove di essere giusto, e un attimo dopo Fetonte cade folgorato).
Un altro esempio è il discorso di Pitagora, che invita a non mangiare né sacrificare animali, perché in essi potrebbe albergare un’anima che un tempo fu umana. La metamorfosi, scrive Sissa, ci rende tutti consanguinei, e perciò «crea il rischio del cannibalismo». È l’antico argomento per il vegetarianesimo e vale anche per noi, perché ci ricorda che, al di là della specie, il pulsare della vita nei corpi appartiene sempre a qualcuno.
Ancora, la storia di Deucalione e Pirra, unici superstiti del grande diluvio voluto dagli dèi. Qui il mito narra che i nuovi esseri umani nascono dalle ossa della Terra, i sassi che i due si gettano alle spalle. Così ripopolato, il mondo diventa politico. Ma se siamo nati dai sassi, allora il pietroso conta: anche il litico è politico. Impossibile non pensare qui ai conflitti per le risorse minerarie.
Probabilmente l’ipotesi di un Ovidio ecologico può sembrare un anacronismo, e difatti lo è. Duemila anni fa l’ecologia non esisteva, e non esisteva nemmeno l’ambientalismo. La questione però va posta al contrario: che cos’è che fa esistere l’ecologia come pensiero dell’interconnessione?
Una risposta sta proprio nell’idea, calata nelle innumerevoli variazioni del mito, di una contiguità universale delle forme, di una materia pregna di intelligenza e creatività in cui l’umano è un perenne farsi e disfarsi, e ogni cosa fluisce nell’altra:cuncta fluunt, dice il poeta. E inoltre: metamorfosi non significa evoluzione, e Ovidio certo non è Darwin. Però senza Ovidio forse non avremmo nemmeno Darwin. I suoi racconti di fanciulle mutate in giovenche, uomini trasformati in cervi o serpenti sono scritti in un immaginario collettivo che mette in luce la possibilità di affinità e parentele. Vedere queste parentele nella fantasia consente di cercarle nella biologia. La scienza si nutre anche del mito.
Con la sua poesia così carnale, Ovidio ci invita all’empatia, ci somministra un antidoto contro l’indifferenza e la violenza. E soprattutto ci fa guardare all’umanità con ironia, perché ci vuole un attimo a passare dall’altra parte: siamo i precari dell’essere.
Ma è proprio questa la bellezza di quest’universo animato, in cui l’umano è dissolto ma è dappertutto, e non c’è frammento che come noi non senta, non respiri, non desideri, non sogni. L’ecologia in fondo inizia da qui.