la Repubblica, 6 agosto 2024
Intervista a Spencer Tracy
«Su Rete 4 il telefilm Spenser. Con Spencer Tracy e Tracy Spencer»: così, a fine anni Ottanta, Francesco Salvi faceva l’annunciatore a modo suo.Spenser era un poliziesco americano. Spencer Tracy uno dei più grandi attori di sempre. E Tracy Spencer? A chi ha una certa età il nome dice ancora parecchio, anche se ha ballato – ovvero cantato, ma quanto – solo una stagione. In quella stagione, però, anno di grazia 1986, riuscì a battere in hit parade anche la Madonna che stava esplodendo in tutto il mondo. Da allora la cantante anglo-capoverdiana, 62 anni, ha tenuto viva una certa popolarità partecipando periodicamente a trasmissioni tv tipo I migliori annied eventi revival come La macchina del tempo 80,
che lo scorso mese l’ha messa sul palco con Ivana Spagna, Johnson Righeira, Gazebo, Marco Ferradini. Tutti nomi proustiani: basta citarli e ai reduci di allora si spalancano praterie di ricordi, gioventù, brufoli, amorazzi o semplicemente di una vita viva (ma qui siamo a una citazione da Battisti-Mogol). E grazie a questi appuntamenti Tracy sfodera ancora un italiano da fare invidia anche ad alcune madrelingua.
La sua storia è particolare a cominciare dal nome, che non è certo casualmente quello di Spencer Tracy capovolto.
«No, anzi. Lo decisero assieme Gerry Scotti e Claudio Cecchetto. Un po’ creava la curiosità per via proprio del grandissimo attore, un po’ io all’anagrafe di Londra sono stata registrata come Louise Tracy Freeman e quindi mantenevo una parte del mio nome vero, cosa che non mi dispiaceva affatto».
Il resto l’ha fatto “Run to me”, la canzone con cui trionfò al Festivalbar del 1986. E, aggiungiamoci, una qualche parte l’ha fatta anche il look sempre sensuale, inguainata com’era in abiti attillatissimi, con cui cantava.
«Ma sa, lo spettacolo è sempre stato qualcosa di famiglia. Mia mamma faceva la ballerina e la prima volta che vidi la città di Roma fu per accompagnare mia sorella in televisione, dov’era una delle soubrette con Pippo Baudo nella prima metà degli anni Ottanta. Era il 1982 e col nome di Louise Freeman cantòAa ee oo uu eMirage e la sigla diDomenica In, Wow! Mamma mia. A quel punto mi misi a fare la modella, fino a quando Cecchetto ebbe una delle sue intuizioni e mi propose Run to me,
canzone disco che sfondò immediatamente e diventò, come dite voi, un tormentone».
Riuscendo a battere Madonna, per una settimana.
«Questo dice l’hit parade ufficiale: il 28 giugno Live to tellera al primo posto, il 12 luglio toccò aPapa don’t preach.
Ma in mezzo – nella classifica uscita il 5 luglio – al vertice c’ero stata io, spodestando proprio Live to tell.
Da non crederci, così come sarebbe da non credere ai bilanci annuali delle vendite: la prima in assoluto del 1986 fuThe final countdown degli Europe, la seconda proprio Papa don’t preach e terza io, precedendotra gli altriNotorious dei Duran Duran eTake on me degli a-ha, tuttora ritmi simbolo del decennio».
Ma fu incredibile tutta quell’estate per lei, no?
«Scherza? Chiaro che sì. Il Festivalbar adesso non ci si rende esattamente conto di che manifestazione fosse. E non lo dico perché quell’anno l’ho vinto, sia ben chiaro. Penso anche solo al livello degli ospiti, gente come Boy George, Rod Stewart, Simply Red. Il top del top dell’epoca.
Cantanti che non avevano la minima idea, giustamente, di chi io fossi, eppure vinsi davanti ai loro occhi. Ma erano tutti altri tempi. Anche nel fatto che non esistessero glismartphone, ahimè, sennò ne avrei intasati almeno un paio di selfie».
È nostalgica?
«Nel senso negativo, no. Certo, quei tempi erano straordinari, musicalmente c’era una varietà incredibile e non l’omologazione elettronica attuale. Anche se temo che di questo faccia parte il fatto che allora avevo 24 anni. Di sicuro i miei due figli, che oggi hanno circa la mia età di allora, se ne fregano abbondantemente quando gli racconto di quei tempi. Però mi fa piacere essere ricordata. Quell’estate l’ho vissuta volutamente come un “one shot”, diciamo una toccata e fuga, pensando poi di fare altro. E anche per questo non ho poi più voluto fare altre canzoni. La gente mi ricorda perRun to me, inutile affollarsi con altre. La canto sempre volentieri a richiesta. E fare tour con altri cantanti anni Settanta e Ottanta non è casuale: siamo tra coetanei, quindi mi sento giovane come allora. Anzi, facciamo un po’ di conti: ho 62 anni e faccio revival da quando ne avevo 41. In pratica ho passato più tempo a ricordare un certo passato che a viverlo in diretta, e trovo tutto questo semplicemente fantastico».
La parola “conti” non la dice a caso.
«No, la matematica è una delle mie passioni, presto ci farò un progetto on demand su Amazon dedicato ai bambini».
Il suo ottimo italiano è dovuto all’aver abitato in Italia fino a metà anni Novanta.
«E non sa dove. A Milano, nella casa che era stata di Sandy Marton, un punto d’appoggio magnifico per chi doveva stare in città qualche giorno.
Tra i tanti Amadeus, che allora non conoscevo. Me ne parlavano benissimo e non mi pare che si siano sbagliati troppo».