la Repubblica, 6 agosto 2024
Da Tokyo a Wall Street tempesta sulle Borse e la Fed è sotto accusa
NEW YORK – L’Opening Bell suona alle 9,30 di mattina, ora di Wall Street, con l’affettata allegria di sempre. Ma non è questo il giorno più indicato per essere leggeri. I dodici membri del board di una compagnia energetica del New Mexico applaudono dal balconcino dopo aver scosso la tradizionale campanella che apre le contrattazioni al New York Stock Exchange. Sorridono e battono le mani all’unisono mentre, sotto, due fotografi fanno scattare i flash. Attorno, gli schermi mostrano tutti dati con segno meno. Al netto dei sorrisi, è il momento in cui l’ultimo anello della catena finanziaria del mondo doveva indicare se si sarebbe spezzato come hanno rischiato di fare tutte le altre piazze.
Wall Street ha chiuso la peggior seduta dal 2022, con il Dow Jones sotto del 2,6% e il Nasdaq del 3,43. Poche ore prima la Borsa di Tokyo era crollata del 12,4 per cento, perdendo quasi un quinto della capitalizzazione di venerdì, quelle europee sono state a lungo sotto pressione. Milano è stata la peggiore, bruciando 15 miliardi di euro in un giorno, 55 in tre sedute. Tra giovedì e venerdì i listini hanno perso il cinque per cento sui timori di recessione Usa, la prima economia mondiale, che a luglio aveva aggiunto 114 mila posti di lavoro, meno rispetto ai 170 mila previsti. La disoccupazione è arrivata al 4,3 per cento, dato più alto dall’ottobre 2021, in più l’indice di fiducia manifatturiero aveva fatto scattare l’allarme.
Di poco aiuto i dati pubblicati ieri che mostrano come il settore dei servizi abbia continuato a crescere a un ritmo superiore alle attese. I numeri potrebbe frenare l’ascesa della candidata alla Casa Bianca, la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris. Donald Trump ha parlato di “disastro annunciato” e attaccato i Democratici.
Fin dall’inizio lungo i corridoi di Wall Street teneva banco la sensazione che la Federal Reserve avesse agito troppo lentamente nel tagliare i tassi, che si collocano tra il 5,25 per cento e il 5,50 a un livello record dal 2006. Bill Ackman, ceo del fondo Pershing Capital, aveva accusato su X la Federal Reserve di «essere stata lenta nell’alzare i tassi» e «ora di essere lenta nell’abbassarli». Il titubante presidente della Banca centrale americana, Jerome Powell, aveva in mano la carta giusta la settimana scorsa ma non l’ha usata e neanche era stato così chiaro nel promettere che a settembre, ultimo meeting prima delle presidenziali, la Banca centrale sarebbe intervenuta.
Tra i motivi non ci sono soltanto analisi finanziarie. Trump prima aveva indebolito Powell, accusandolo di essere al servizio di Joe Biden e pronto ad aiutarlo intervenendo sull’inflazione alla vigilia delle elezioni. Poi ha dichiarato che potrebbe lasciarlo al suo posto se tornerà alla Casa Bianca. Nel caso la situazione dovesse precipitare, anche a livello internazionale, la Fed potrebbe intervenire in via d’urgenza e con un taglio maggiore di quello previsto a settembre per cui si ipotizzava una riduzione di mezzo punto. Ma ieri era già tardi e farlo in piena estate, secondo alcuni analisti, potrebbe scatenare altro panico.
I segnali che l’onda lunga della crisi globale sarebbe arrivata anche a Wall Street c’erano stati tutti, dopo un weekend di notizie preoccupanti, a cominciare dalla cessione di quasi metà azioni Apple in possesso della Berkshire Hathaway di Warren Buffett. Quando il grande vecchio vende, migliaia di americani corrono a telefonare ai propri consulenti. Si vede che le linee erano occupate: poco prima del via, nel pre mercato, tutti i titoli i tecnologici erano in perdita. Apple aveva lasciato il 9,59, Tesla il 10,63. Persino Nvidia, la compagnia dell’ascesa record costruttrice di microchip segnava il -13,35. L’indice delle “magnifiche sette” di Big Tech, incluse le altre quattro (Meta, Microsoft, Alphabet e Amazon) è arrivato a perdere quasi dieci punti (800 miliardi di capitalizzazione svaniti in un giorno).
Pesante anche l’oro, sottoposto a disinvestimenti per arginare perdite altrove. L’”indice della paura” Vix, che misura la volatilità attesa a trenta giorni del S&P500, il principale indice azionario americano, è tornato ai massimi dai tempi della pandemia da Covid. A parte i bond, non si è salvato nessuno. A picco il bitcoin, sceso sotto i 55 mila dollari.
L’America ha vissuto un lunedì di panico, ma non dentro la sala delle contrattazioni. Qualcuno ha evocato il Black Monday del 1987, quando le borse mondiali bruciarono duemila miliardi di dollari. «È la cosa più ridicola che abbia sentito, in comune c’è solo che era lunedì», spiega Peter Tuchman, chiamato l’Einstein di Wall Street, uno dei traderpiù popolari e esperti. Rispetto all’ 87 non c’è la calca dei broker. Niente più grida. Tutto è più asettico.
Le contrattazioni, da tempo, sono fatte elettronicamente e in modo ibrido. Più monitor che persone, più commentatori televisivi che broker. Non tutti con la cravatta. Un paio girano con il bicchierone ripieno di caffè come fossero a fine turno. Però, anche se in forma digitale, dietro i numeri aggiornati in modo drammatico sugli schermi ci sono soldi e persone reali. Wall Street apre con il tonfo. Il Dow Jones perde subito il 2,76 per cento a 38.640,33 punti. Il Nasdaq crolla del 6,05 per cento, mentre la S&P 500 lascia sul terreno il 4,16. Una giovane visitatrice, in grigio, si mette in posa e sorride al suo ragazzo che le punta la fotocamera del cellulare. I trader parlano a bassa voce. Solo apparente mancanza di ansia. «L’unico cosa che consiglio – dice un operatore – è chiedere al proprio consulente prima di vendere e di restare calmi. Questo è lo Yankee Stadium finanziario, siamo abituati a grandi giornate e a giornate disastrose».Questa seduta, però, era più prevedibile di una sconfitta degli Yankees. «Il panico c’è stato in tutto il weekend – spiega Tuchman – abbiamo chiuso venerdì con notizie negative, i numeri economici erano cattivi e il mercato è andato in crisi. Succede quando hai questo tipo di informazioni, vai verso un weekend estivo e hai i media che continuano a parlare di paura». «E poi la guerra tra Iran e Israele – aggiunge – il mercato e la recessione, tutta questa roba ha creato isteria, ma non sono gli investitori istituzionali a vendere, è il retail. Sono quelli individuali». A un desk dicono: «È il momento di gestire le emozioni, non i soldi».
Intanto gli ospiti della compagnia energetica hanno lasciato il balconcino della campanella, e sono scesi lungo la scalinata circondata da pareti coperte dalle firme di chi ha inaugurato almeno una seduta di Wall Street. Tra quelle c’è anche l’autografo di Kobe Bryant, la leggenda del basket. La seduta andrà avanti nello stesso mood iniziale.
Quando, alla fine delle contrattazioni, nel pomeriggio, gli operatori lasciano Wall Street per attraversare una piazza allagata di sole e di turisti, tutto torna nel suo alveo naturale. In attesa di un’altra giornata difficile. Cosa dobbiamo aspettarci ora? «È davvero difficile saperlo ammette Tuchman – ma molto dipenderà dalla chiarezza della Federal Reserve. Devono fare un passo avanti e dire qualcosa. È stata una brutta giornata. Se andrà così anche la prossima avremo avuto due brutte giornate, ma niente di più. È Wall Street».