il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2024
Rdc. La sentenza Ue non costerà quasi nulla a Inps, ma chiude moltissimi processi ai “furbetti” stranieri
E alla fine, visto che nessun altro si azzardava a farlo, l’ha sancito la Corte di Giustizia dell’Ue: l’Italia tra 2019 e 2023 ha discriminato gli stranieri nei criteri d’accesso al reddito di cittadinanza, imponendogli l’obbligo di residenza decennale (gli ultimi due anni continuativi) al posto di quella quinquennale del permesso di soggiorno lungo europeo.
Fu, questo paletto all’accesso, uno dei molti scalpi che il M5S di Luigi Di Maio (a Palazzo Chigi c’era la prima versione di Giuseppe Conte) concesse alla Lega pur di portare a casa la bandiera elettorale del sussidio contro la povertà: quei paletti servivano tutti a ridurre la platea degli aventi diritto, questo in particolare a chiudere la porta agli stranieri. La beffa è che questo criterio d’accesso illegittimo oggi intasa i tribunali con centinaia di processi per “falsa dichiarazione” di cittadini stranieri, che spesso non avevano neanche capito cosa stavano firmando: le assoluzioni si sono sprecate in questi mesi, ma intanto è servito andare dal giudice e pagare l’avvocato, mentre i giornali e la destra di governo facevano il coretto sui “furbetti del reddito”.
Adesso, se non altro, questo equivoco è finito: i processi basati sulle dichiarazioni di residenza devono chiudersi, dice la sentenza, l’Inps – se ne ha motivo e ci riesce – ha recuperato o recupererà quanto indebitamente percepito. Particolare delizioso: l’Assegno di inclusione con cui Giorgia Meloni ha sostituito il Rdc già prevede il requisito di residenza quinquennale (gli ultimi due anni continuativi). Torniamo alla sentenza. La Corte Ue era stata sollecitata dal Tribunale di Napoli, chiamato a decidere su due donne straniere accusate aver indebitamente percepito 3.414 e 3.187 euro di sussidio rendendo false dichiarazioni proprio sulla residenza. Ora i giudici del Lussemburgo hanno deciso che il vecchio paletto dei dieci anni “costituisce una discriminazione indiretta” contro i cittadini stranieri, per i quali – aggiungono – vanno chiusi anche i processi penali: dopo il danno del beneficio non concesso con una norma illegittima, la beffa penale sarebbe troppo.
Adesso che hanno parlato i giudici europei ritroverà la parola anche la nostra Corte costituzionale, che si era fermata su un caso analogo per aspettarli: ovviamente la Consulta seguirà la sentenza Ue, ma è difficile che la sentenza provochi sconquassi. Secondo un documento interno dell’Inps, già pubblicato dal Fatto, il requisito dei cinque anni avrebbe comportato una maggior spesa tra 2019 e 2023 di circa 3 miliardi di euro, 650 milioni all’anno a fronte di un costo a regime del Rdc di 8-9 miliardi annui. Questo in teoria, perché in realtà “risultano 106mila domande respinte o revocate per mancanza del requisito decennale in parola” e ad oggi “sono pendenti circa 600 controversie vertenti sulla medesima questione”: se si dovesse ridare i soldi a tutti i 106mila bocciati, l’Inps dovrebbe sborsare “850 milioni di euro”, ma non andrà così. Esclusi i 600 che hanno già fatto ricorso, quelli che lo presenteranno ex novo dopo la sentenza della Consulta saranno pochissimi. Discriminare i più poveri e i più emarginati, come al solito, costa poco o nulla.