il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2024
Big Pharma: come portare utili per 580 mld nei paradisi fiscali
Quando sei anni fa i medici rimossero il tumore di Miriam Staunton, dissero alla 51enne irlandese che aveva il 70% di possibilità di recidiva. Eppure, nei mesi successivi all’operazione, le furono offerte solo radiazioni locali e controlli regolari, nessun trattamento farmacologico. “Quando incontrai l’oncologo mi disse che non era in grado di offrirmi nulla di sistemico”, ricorda Miriam. Avrebbe dovuto aspettare che il melanoma si ripresentasse un anno dopo per avere diritto a farmaci efficaci e costosi. Solo dopo che il cancro era progredito al quarto stadio, nel febbraio 2019, ha iniziato un ciclo di Opdivo combinato con Yervoy, farmaci innovativi noti come immunoterapia, all’epoca rimborsati dallo Stato irlandese solo al quarto stadio.
In grandi Paesi come la Francia il rimborso iniziava dal terzo stadio grazie a un accordo tra lo Stato e la società produttrice. A Dublino, invece, il negoziato per fissare il prezzo di Opdivo con Bristol-Myers Squibb (BMS) è stato duro e lungo: il prezzo di partenza era 1.311 euro per una dose da 100 mg, quando – secondo i calcoli di alcuni studiosi – anticorpi simili possono essere prodotti a un prezzo compreso tra 9,50 e 20 dollari (8,85-18,60 euro). Non si conosce il prezzo finale pagato dalle autorità irlandesi per l’obbligo di segretezza imposto dalla compagnia.
Investigate Europe ha invece scoperto quanto guadagnano le società come BMS facendo durare più a lungo possibile un brevetto tassato nei paradisi fiscali: i 15 maggiori produttori di farmaci europei e statunitensi, tra cui BMS, gestiscono oltre 1.300 filiali in paradisi fiscali e territori a bassa tassazione producendo, negli ultimi cinque anni, profitti per 580 miliardi di euro. Il paradosso è che l’Irlanda è tra i primi cinque paradisi fiscali scelti dall’industria farmaceutica (insieme a Paesi Bassi, Svizzera e Lussemburgo per l’Europa). Ancora peggio: il farmaco Opdivo è prodotto proprio in Irlanda. Se da un lato il trattamento non era accessibile ad alcuni pazienti irlandesi, dall’altro il fornitore registrava profitti altissimi grazie allo schema di elusione fiscale “Double Irish”, che permette di abbassare la tassazione sotto la già bassa aliquota del 12,5%. La tecnica prevede la creazione di due società irlandesi: una per scopi operativi e l’altra per detenere la proprietà intellettuale; la prima paga le royalties alla seconda, che risulta residente fiscalmente all’estero, ad esempio alle Bermuda.
Il vasto campus all’avanguardia di BMS a Dublino, ad esempio, appartiene a una filiale che nel 2022 ha registrato un fatturato di 17,2 miliardi di dollari, più di un terzo delle entrate totali del colosso. Tuttavia, nonostante sia registrata in Irlanda, Swords Laboratories è svizzera ai fini fiscali. La sua controllante Bristol-Myers Squibb Holdings Ireland gode di un’analoga doppia residenza e possiede brevetti per diverse terapie di BMS. Nel 2022, la holding ha valutato le sue attività a più di 1 miliardo di dollari e ne ha intascati 4,5 in royalties sui farmaci prodotti da Swords Laboratories come l’anticoagulante Eliquis. La holding ha anche ricevuto quasi 9 miliardi di dividendi in due anni dallo stabilimento di Dublino. Il governo irlandese replica di aver modificato la sua legislazione fiscale fin dal 2014 “per prevenire strutture come il Double Irish”. L’Irlanda ha però un trattato di doppia imposizione con la Svizzera, spiega James Stewart, professore aggiunto di finanza al Trinity College di Dublino, e così il vecchio schema può funzionare ancora.
Detenere proprietà intellettuale nei paradisi fiscali è una pratica comune per BMS. I suoi brevetti su Opdivo e Yervoy si trovano nel Delaware, uno stato americano che non applica tasse sulle royalties. I due farmaci rappresentavano un quarto dei 45 miliardi di dollari di fatturato del gruppo nel 2023. Nello stesso anno, BMS ha elencato 135 filiali in paradisi fiscali: 81 nel Delaware, 15 in Svizzera, 13 in Irlanda e 12 nei Paesi Bassi. Queste strutture hanno aiutato l’azienda a raggiungere un’aliquota fiscale effettiva del 4,7%, ben al di sotto di quella legale Usa del 21%. L’azienda non ha risposto alle richieste di commento.
BMS non è un caso unico. Il Delaware conta 700 entità societarie come quelle di BMS, i Paesi Bassi 170, Svizzera e Irlanda quasi 120 ciascuna. Il gigante statunitense Merck, proprio come BMS, ha creato una rete di filiali irlandesi con residenza fiscale svizzera che, al 2022, detenevano almeno 44 miliardi di dollari di capitale proprio. Non tutte le case farmaceutiche usano lo schema Double Irish, ma comunque – secondo le stime di Investigate Europe – molte delle loro affiliate avevano accumulato un considerevole patrimonio netto in Irlanda alla fine del 2022: 308 miliardi di dollari per Abbvie, oltre 102 per Johnson & Johnson, 20 per AstraZeneca e 17 miliardi per Gilead.
Nove dei 10 maggiori gruppi farmaceutici del mondo hanno attività in Irlanda e il più grande è “probabilmente Pfizer”, ipotizza il professor Stewart: non si può esserne certi, però, visto che non ci sono bilanci pubblicati per nessuna filiale irlandese. Nei Paesi Bassi, Pfizer ha registrato tre quarti dei suoi 100 miliardi di dollari di ricavi con una holding olandese alla guida di una miriade di filiali. La società in accomandita CPPI CV è “fiscalmente trasparente”, cioè i suoi azionisti possono trarre profitti non tassati: nei due anni fino alla fine del 2023, CPPI ha inviato 35 miliardi di dollari alle sue società madri nel Delaware. Pfizer non ha risposto alle richieste di commento.
“Tutti vogliono limitare l’esposizione fiscale e le aziende non fanno eccezione”, afferma Paul Fehlner, ex responsabile della proprietà intellettuale del colosso svizzero Novartis: “Trasferendo la proprietà dei diritti di brevetto in una giurisdizione a bassa tassazione e facendo confluire i fondi internamente in un’entità che detiene i brevetti, si riesce a farlo”. Non solo: le aziende cercano anche di allungare la vita dei brevetti per impedire la concorrenza. Per giustificarsi i manager citano gli alti costi di ricerca e sviluppo, ma i dati raccolti da Investigate Europe mostrano che l’industria farmaceutica raccoglie più profitti dalle vendite dei farmaci esistenti di quanti ne investa nello sviluppo di nuovi: nel quinquennio analizzato le 15 big del settore hanno guadagnato 580 miliardi di euro al netto delle imposte e speso 572 miliardi in ricerca e sviluppo. I guadagni sono stati destinati agli azionisti sotto forma di dividendi e riacquisti di azioni per un totale di 558 miliardi.
Nei Paesi Bassi, intanto, i tribunali stanno per diventare un campo di battaglia tra un produttore di farmaci e i suoi detrattori. Nel 2023 la Pharmaceutical Accountability Foundation (PAF), un gruppo di interesse pubblico, ha intentato una causa contro Abbvie per abuso di posizione dominante: PAF sostiene che l’azienda Usa abbia realizzato profitti eccessivi (1,2 miliardi di euro in 14 anni) sulle vendite olandesi di Humira, il farmaco più venduto al mondo per il trattamento di un reumatismo. “Respingiamo le accuse infondate della PAF che, come indicato al tribunale, mettono in discussione il sistema di determinazione dei prezzi di tutti i farmaci, ostacolando potenzialmente l’innovazione futura”, ha detto un portavoce di Abbvie.
Prima del caso olandese, però, l’azienda era già stata nell’occhio del ciclone di una commissione del Senato americano che nel 2022 aveva scoperto che Abbvie aveva eluso miliardi di tasse mantenendo la sua proprietà intellettuale alle Bermuda e producendo in Irlanda e Porto Rico. Nello stesso anno l’ong I-Mak ha rivelato che il gruppo ha depositato il 94% dei 166 brevetti americani su Humira dopo che il farmaco era già in commercio: lo stratagemma ha tenuto a bada i concorrenti e ritardato l’arrivo sul mercato dei farmaci generici, meno costosi.
Tutte le aziende citate sono state contattate per un commento. AstraZeneca, Bayer, Eli Lilly, Novartis, Novo Nordisk, Roche e Sanofi hanno risposto specificamente sulle questioni fiscali affermando di rispettare tutte le regole. Sanofi ha insistito di essere presente in Paesi a bassa tassazione per le esigenze dei pazienti locali. Bayer afferma che, in quanto società tedesca, è tassata sui suoi profitti offshore e aggiunge che alcuni dei Paesi da noi citati non dovrebbero essere ritenuti paradisi fiscali.