il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2024
«Ciò che per noi giornalisti è sommamente importante non è detto che lo sia per i lettori»
“Ci scusi signore ma sono anni che i nostri clienti non ci chiedono più i giornali”.
Risposta della reception di un grande hotel sardo alla richiestadell’autore di questa rubrica
Da settimane frequento le più note località estive per la promozione del mio ultimo libro, serate che, come sanno gli habitué del ramo, in genere si concludono con le domande del pubblico rappresentativo di una fascia di lettori abbastanza informata sull’attualità. Ebbene, mai una volta che qualcuno abbia chiesto la mia opinione sul rischio del ritorno del fascismo in Italia e meno che mai sui pericoli per la democrazia generati dal governo Meloni. Ciò non significa che il nostro Paese sia al sicuro da derive autoritarie o che possa dormire sonni tranquilli mentre a Palazzo Chigi bivaccano gli eredi di Giorgio Almirante (e del duce). Ma, o la minaccia non è avvertita come tale dal popolo bue oppure, come già in passato, il nostro Paese è già purtroppo rassegnato a subire le conseguenze di una incombente dittatura. C’è un terza ipotesi e si chiama assuefazione. Poiché giunti nell’anno II dell’era di Giorgia sono già un paio di 25 aprile, 25 luglio, 8 settembre, 28 ottobre (Marcia su Roma) che si svolge sempre la stessa scena. Con la sinistra che a ogni ricorrenza sensibile pretende, giustamente, dalla premier una esplicita e non ambigua professione di antifascismo. Mentre, regolarmente, ecco che la premier qualcosa di antifascista dice ma non abbastanza per superare il severo esame di Schlein e compagni.
Con la commemorazione del 2 agosto (44 anni dalla strage di Bologna, 85 morti) il copione si è ripetuto anche se non tutto è apparso chiarissimo come il fiammeggiante titolo di “Repubblica” (“Meloni, oltraggio a Bologna”) lasciava intendere. Infatti a leggere i virgolettati a corredo delle impeccabili cronache abbiamo un presidente dell’Associazione familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, che lancia un’accusa pesante: “Le radici dell’attentato oggi figurano nella destra di governo”. E con la presidente del Consiglio che ribatte: “È grave sostenere che le radici della strage oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo”. Ora, noi che pure siamo inclini all’indignazione percepiamo che anche stavolta la professione antifascista di Giorgia lasciava a desiderare ma non siamo riusciti compiutamente a spiegarlo al pubblico che prendeva il fresco in una deliziosa piazzetta ligure. Per la verità abbiamo incontrato la stessa difficoltà nell’affrontare lo spinoso argomento della (del) pugile algerina (algerino) che da giorni riempie le pagine dei giornali e del talk. Per dirla tutta, nessuno del pubblico mi ha chiesto niente in proposito (ho davvero delle strane frequentazioni) ma in ogni modo se occorresse dare qualche chiarimento mi atterrò alla geniale vignetta di Giannelli sul “Corriere della sera” dal titolo “Boxe sui generis”. Con la pugile italiana che si lamenta: “Arbitro! Ma lei mi picchia!” (che in fondo nel pugilato può accadere).
Tutto questo divagare era solo per confermare una vecchia regola: ciò che per noi giornalisti è sommamente importante non è detto che lo sia per i lettori. Cosa che forse può spiegare lo sgomento che ha provocato in quell’hotel sardo la mia richiesta di giornali. Chissà, devo essergli apparso come uno spettro uscito direttamente dalle serie “Survivors”, i Sopravvissuti.