il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2024
Maduro e il tic dell’Occidente
Ci risiamo con Nicolás Maduro. Il presidente venezuelano è stato riconfermato nelle recentissime elezioni con il 51% dei voti a favore. Naturalmente si è scatenata la solita ridda di reciproche disinformatie: gli oppositori di Maduro contestano la regolarità delle elezioni, non solo quelli interni ma in pratica quasi tutti i media occidentali. Per l’Occidente Maduro è un dittatore, punto e basta. Devo dire che ho parecchi dubbi su questa narrazione occidentale fortemente influenzata dagli Stati Uniti che vedono di cattivissimo occhio il tentativo di impiantare in Centro e Sud America il cosiddetto “socialismo bolivariano”.
E qui bisogna fare un lungo passo indietro. Il “socialismo bolivariano” si richiama al venezuelano Simón Bolívar, che alla fine del Settecento aveva avuto l’idea di creare una “Grande Colombia” che radunasse la maggior parte dei Paesi latinoamericani. Dal punto di vista sociale l’idea era semplice quanto complessa: cercare di tagliare le unghie alle classi dominanti che detenevano il potere economico e politico e puntare verso una più ragionevole uguaglianza sociale. Insomma un programma socialista come dice la parola stessa. Nel frattempo però erano avvenuti grandi cambiamenti a livello geopolitico ed economico. Il Venezuela se la cavava abbastanza bene perché nell’Ottocento era, insieme ad Argentina e Brasile, uno dei maggiori esportatori di carne del mondo. Ma nel frattempo la base della ricchezza non era più nell’esportazione di carni ma nel petrolio di cui il sottosuolo è ricco. Col petrolio si scatenarono sul Venezuela gli appetiti di tutti i Paesi industrializzati. Il Venezuela fu travolto da questa nuova situazione e del “socialismo bolivariano” non si parlò più. L’idea fu ripresa nel 1999 da Hugo Chávez, da qui il termine “chavismo”, un militare che godeva in Venezuela di grande prestigio. Morto Chávez per tumore il potere passò a Maduro, ex autista di autobus e sindacalista. Poiché Maduro non aveva il prestigio di Chávez gli americani pensarono di servirsi di un certo Juan Guaidò, chiamato dalla stampa occidentale “il giovane e bell’ingegnere” per contrapporlo alla rozzezza di Maduro. Tentarono, attraverso Guaidò, un colpo di Stato che fallì miseramente perché Guaidò non aveva una base sufficiente né fra le élite né tanto meno fra il popolo. Guaidò fu incarcerato e quasi subito liberato rifugiandosi in Nicaragua. Ora voglio vedere in quale Paese, anche dell’Europa democratica, uno che ha tentato un colpo di Stato può cavarsela così facilmente. In Spagna gli indipendentisti catalani, a cominciare dal loro leader Puigdemont, per avere dichiarato l’indipendenza della Catalogna, sono stati arrestati e incarcerati per 7 anni mentre Puigdemont è tuttora esule in Belgio. Proprio negli ultimi mesi in Spagna, sotto la presidenza del socialista Pedro Sánchez, si sta cercando di risolvere l’antichissima questione catalana.
Affermare perciò che Maduro è un dittatore tout court mi sembra difficile. Il fatto è che ha l’ostilità di tutti i Paesi, e i media al loro servizio, legati ai gringos come chiamano da quelle parti gli americani. Maduro ha l’appoggio di Cuba e soprattutto del Brasile governato da Lula da Silva che fu estromesso dal potere con accuse di corruzione poi rivelatesi del tutto infondate. In occasione della sua rielezione Maduro ha affermato che è in atto un complotto della destra mondiale per fare piazza pulita di ciò che rimane del socialismo in Centro e Sud America. In questo senso va il successo in Argentina di Javier Milei, un iperliberista che vuole fare piazza pulita di qualsiasi welfare e ha definito il socialismo parente stretto del demonio includendo nell’anatema Papa Bergoglio.
Il problema adesso è vedere se Lula, Maduro, e i pochi alleati che hanno in Sud America, compresa la Cuba castrista, riusciranno a resistere a questo ritorno in forze delle destre internazionali. In un articolo del 30.07, tutto di parte, Il Giornale riusciva a mettere tra “i maledetti” l’incolpevole Che Guevara. La storia del Che la conosciamo benissimo: medico argentino andò a combattere a Cuba unendosi ai castristi. Quando si rese conto che il castrismo deviava verso la dittatura lasciò il Paese per andare a combattere una disperata battaglia di libertà in Bolivia, dove venne ammazzato. Ma prima di dare addosso a Castro e al castrismo, bisognerebbe ricordare cosa era Cuba prima della vittoria della Rivoluzione. Governava Batista che aveva fatto di Cuba una sorta di casinò a uso e consumo dei ricchi americani. Certo a Cuba c’è oggi una dittatura, ma a chi altri potrebbe appoggiarsi il “socialismo bolivariano” che ha l’ostilità dell’intero mondo occidentale, compresa la democratica Europa?
Nel recente forum economico mondiale di Davos Milei è stato ricevuto con tutti gli onori esprimendo le sue idee iperliberiste a anti-socialiste, definendo il socialismo una sorta di “Male Assoluto”. Né bisogna dimenticare che durante la recente pandemia una cinquantina di medici cubani venne in Italia per darci una mano. Insomma la solidarietà per i cubani non è solo un’idea astratta. A Cuba la scuola è gratuita e la sanità anche. Conosco un ragazzo cubano, Ramiro, che è venuto via da Cuba non a causa del regime ma per ragioni personali e che oggi gestisce un locale abbastanza elegante a Milano: ha una cultura di prim’ordine e con lui si può parlare di tutto perché è una persona open-minded. Naturalmente il regime castrista soffre le deficienze di tutti i regimi dittatoriali, case sfasciate, territorio abbandonato a se stesso, desolazione, un po’ come era ai tempi dell’Urss che ho fatto in tempo a vedere. Ma per me che sono un socialista libertario da sempre – ed è bene ricordare che il socialismo si differenzia dal comunismo perché cerca di raggiungere una ragionevole uguaglianza sociale senza comprimere i diritti civili –, se devo scegliere fra il pur imperfetto “socialismo bolivariano” di Lula o di Maduro e l’Impero del Capitale, non ho dubbi.