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 2024  agosto 04 Domenica calendario

Intervista a Giordano Bruno Guerri





 
Giordano Bruno Guerri, 73 anni, dove andrà in vacanza?
«Sono in partenza per Londra, con i miei due figli, Nicola Giordano, 18 anni, e Pietro Tancredi, 13 anni. Il nostro primo viaggio senza la mamma. Avventura da scapoli. Tre Guerri che si potranno concedere dei disordini».
Li ha fatti tardi.
«E sono contento così, perché prima non ero pronto».
Cosa fa sua moglie?
«Paola Veneto, barese, è fotografa e autrice, cura festival di poesia. Vive con i ragazzi a Lanzarote, in Spagna».
Come mai?
«Ci capitammo in ferie e scoprimmo che ha ottime scuole internazionali. Ho detto: “Proviamo un anno qui”. Sono diventati sette. Ora Nicola Giordano farà l’università a Madrid».
E lei vive qui nella dimora del Vate al Vittoriale?
«A Villa Mirabella, dove D’Annunzio faceva alloggiare la moglie, Maria Hardouin, mentre teneva in casa le amanti: una circostanza che mi è sempre piaciuta».
Lei aveva fama di viveur. Ha avuto tante donne?
«Centinaia».
Perché è poi capitolato?
«Mia moglie mi telefonò per propormi un’intervista, decidemmo di farla a casa mia e visto l’aura che mi circondava pensò bene di farsi scortare da un amico».
Che anno era?
«Il 2005. Io avevo cinquantacinque anni, lei ventinove. Voleva parlare di Pasolini».
Lei che c’entra con Pasolini?
«Nulla. Infatti sulle prime le avevo detto di no, che non ne avevo voglia. Quel giorno diluviava su Roma. Paola entrò in casa mia bagnata fradicia, biondissima. Rimasi fulminato».
La corteggiò subito?
«Sì, la invitai a cena, da Tonino, una trattoria in via del Governo Vecchio. E poi, siccome amava il cinema, provai a portarla alla Casa del cinema, a vedere un film giapponese. Volevo fare colpo. “Guarda che è un cartone animato”, mi gelò».
Lei era già il Guerri, storico affermato, uomo tv, intellettuale di successo.
«Ma a lei piacque il modo con cui coccolavo il cane, colse un lato affettuoso, protettivo. Paola ha saputo tirare fuori il meglio di me, togliendomi dalla depressione, dalla scontentezza».
Era in crisi?
«Passavo le giornate a letto. Una vita di bagordi, a palazzo Taverna, in via di Monte Giordano, la mia dimora di allora, con i portieri agghindati con le polpe, come nel Settecento».
La Roma godona?
«Ogni tanto c’è qualcuno che mi chiede: “Ti ricordi quella festa?” Non ricordo niente invece».
Faceva uso di droghe?
«La cocaina la prima volta l’ho provata a New York, è diventata un’abitudine con la tv. Avevo il terrore della lucina rossa che dà il via alla diretta: conducevo Italia mia benché. Gli incubi mi svegliavano di notte».
Ne circolava molta in tv?
«Una volta mi venne l’idea di fare entrare i cani antidroga negli studi, mi serviva per un servizio sul tema. I cani impazzirono, correndo di qua e di là».
Quando ha smesso?
«Nel 2003».
Oggi come guarda alla dipendenza?
«Come a uno spreco, di energie, tempo, soldi. Non ho esagerato, niente cose da ricovero, ma l’ho usata anche come propellente sessuale».
Ne aveva bisogno?
«No. Ma dava i fuochi di artificio».
Lei passa per una delle intelligenze della destra al potere.
«Non direi proprio. Infatti non mi hanno mai offerto nulla in questi due anni».
Non è un conservatore?
«Io sono per una destra radicale e libertaria e antifascista che oggi è minoritaria».
Giorgia Meloni prosegue verso un’altra direzione.
«Ma se potesse si libererebbe della parte più nostalgica. È molto meno conservatrice del suo partito».
Non è troppo indulgente?
«No, perché penso che alla fine lo farà: certi processi in politica non sono immediati».
Si parlava di lei come ministro della cultura.
«Non sono organico, su troppe cose mi sarei trovato in disaccordo».
Come si definirebbe?
«Su aborto, eutanasia, droghe leggere, utero in affitto sono in sintonia con la sinistra, sulla difesa dell’individuo sto con la destra. Radicale inclassificabile».
Per chi ha votato alle ultime Europee?
«Per Forza Italia».
Qual è fra i suoi libri quello a cui è più legato?
«Quello su Maria Goretti. Una storia che mi ha commosso nel profondo. Uscì nel 1985, se ne dibatté per mesi. Il cardinale Palazzini, il prefetto per la congregazione delle cause dei santi, fece una conferenza stampa per definirmi uno strumento del demonio».
Lei ha ancora un grande seguito.
«In crescita. A ottobre esco con una biografia intima su Mussolini, per Rizzoli. Me l’avevano chiesto in tanti, per anni, e a tutti avevo detto di no».
Cosa si può dire di nuovo sul Duce?
«Che c’è differenza tra mussolinismo e fascismo. Gli italiani erano mussoliniani, non fascisti. Un libro che non piacerà né alla destra né alla sinistra».
Però lei, a sinistra, passa per revisionista sul fascismo.
«Il revisionismo è la base di qualsiasi base culturale, e anche nella scienza: se i medici non lo fossero stati non ci sarebbe mai stata la penicillina».
Cosa pensa dei giovani che inneggiano al Ventennio?
«Nessuno di loro andrebbe volentieri in guerra o sarebbe felice di vivere in uno Stato etico. Non sono fascisti, ma mussoliniani. Hanno il culto della personalità, che è tipico delle dittature».
Scioglierebbe CasaPound?
«Se intendono ricostruire il partito fascista sì. Intanto li farei sloggiare dalle sedi che occupano abusivamente».
Il Vittoriale, la casa di D’Annunzio, con lei presidente è diventato un grande teatro culturale.
«Facciamo concerti, dibattiti, teatro. Biagio Antonacci ha rinunciato all’Arena di Verona per fare dieci concerti nel nostro anfiteatro a settembre».
Che ricordi ha del libro con il brigatista pentito Patrizio Peci?
«Leonardo Mondadori l’aveva proposto a Biagi e Bocca, ma dissero di no. Peci era il primo della lista, i suoi ex compagni lo volevano fare fuori come avevano fatto col fratello».
Perché accettò?
«Era una storia potente. Ci vedemmo a Milano, ogni volta in un posto diverso. Una volta registrammo a casa mia, un poliziotto della scorta lasciò la pistola sul comodino e andò in bagno, Peci la prese e se la mise dietro la schiena».
E lei?
«Io fui percorso da un brivido gelido. Poi il poliziotto tornò e disse: “Ridammi quell’arnese”. “No, non te lo do”, insisteva Peci. Giocavano».
Lo sente ancora?
«Ogni tanto si fa vivo, chiama sempre da un numero diverso, recita ancora a fare il ricercato».
E cosa le dice?
«Guerri, abbiamo messo la testa a posto?».
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