la Repubblica, 4 agosto 2024
La bolla tech, lo yen e i dati americani la tempesta perfetta sulle Borse
Come cambia rapidamente l’umore. Appena due settimane fa i mercati azionari erano in una corsa al rialzo apparentemente inarrestabile, dopo aver toccato per mesi nuovi massimi storici. Ora sono in caduta libera. L’indice americano Nasdaq 100, dominato dai giganti della tecnologia che sono stati al centro del boom, è sceso di oltre il 10% dal picco di metà luglio. L’indice giapponese di riferimento Topix ha registrato perdite a due cifre, con un calo del 6% solo il 2 agosto – il peggior giorno dal 2016 e, dopo il calo del 3% del primo agosto, la peggior striscia di due giorni dal 2011. I titoli altrove non sono stati colpiti così duramente, ma il panico sta attraversando i mercati. Il “misuratore di paura” di Wall Street, l’indice Vix, che misura la volatilità attesa attraverso i prezzi che gli operatori pagano per proteggersi da essa, è salito ai massimi dalla crisi bancaria regionale americana dello scorso anno.
Se si guarda sotto la superficie, ai singoli settori e alle singole aziende, l’umore è ancora più brutale. L’indice dei semiconduttori di Philadelphia, che tiene traccia delle aziende della catena di fornitura di chip a livello globale, è sceso di oltre un quinto nel giro di poche settimane. Arm, una di queste aziende, ha perso il 40% del suo valore di mercato. Il prezzo dell’azione di Nvidia, il beniamino della precedente corsa al rialzo, ha avuto un andamento altalenante. Nei tre giorni dal 30 luglio è sceso del 7%, è salito del 13%, poi è sceso di nuovo del 7%. Il 2 agosto il valore di Intel, un altro produttore di chip, è crollato di oltre un quarto. E non si tratta solo dell’industria dei semiconduttori. L’indice Kbw dei titoli bancari americani è sceso dell’8% in pochi giorni. Anche i prezzi delle azioni delle banche giapponesi sono crollati.
Le cose stanno – o almeno stavano – andando bene per i beni rifugio quelli che gli investitori cercano quando sono terrorizzati: l’oro, lo yen giapponese e i Treasury americani. Tuttavia, è preoccupante che anche il prezzo dell’oro sia crollato il 2 agosto, con un calo da picco a picco di oltre il 2%. L’oro è solitamente una copertura contro il caos. Il fatto che il suo prezzo sia stato spinto al ribasso suggerisce che gli investitori potrebbero aver venduto non perché volevano farlo, ma perché dovevano raccogliere rapidamente liquidità per far fronte a richieste di margini altrove. In tal caso, c’è il rischio che si verifichino altre vendite a raffica e si inneschi un circolo vizioso.
Tre elementi si sono combinati per spingere gli investitori oltre il limite. Il primo è la consapevolezza che l’intelligenza artificiale (Ia), e in particolare l’industria dei chip che la alimenta, è stata pervasa da speranze irrealistiche. Grandi oscillazioni dei prezzi delle azioni americane si sono verificate nei dieci giorni in cui cinque giganti della tecnologia – Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft – hanno pubblicato risultati che hanno lasciato gli azionisti allibiti. Persino Alphabet e Microsoft, i cui ricavi hanno battuto le aspettative degli analisti, hannovisto le l oro quotazioni scendere il giorno successivo alla pubblicazione dei risultati. Quelli di Amazon, che non hanno rispettato le aspettative, sono stati puniti molto di più. Questa batosta generalizzata suggerisce che l’euforia degli investitori per tutto ciò che riguarda l’Ia sta svanendo.
Questo ha un effetto immediato sui produttori di chip che, se gli investimenti nell’Ia si riducono, potrebbero non trovarsi più di fronte alla prospettiva di una domanda illimitata per i loro prodotti. In realtà, le ultime settimane hanno fatto temere a queste aziende molto più di un semplice cambiamento di umore. Il 17 luglio Donald Trump ha mandato in tilt i titoli dei semiconduttori suggerendo che Taiwan dovrebbe pagare la propria difesa contro la Cina. Tsmc, che produce la maggior parte dei chip più avanzati al mondo, ha sede a Taiwan e quindi sarebbe vulnerabile a un’invasione cinese. L’amministrazione Biden sta inoltre pianificando nuove limitazioni alle esportazioni di apparecchiature per la produzione di chip in Cina. Con la duplice minaccia di un calo della domanda e di un peggioramento del clima geopolitico, non c’è da stupirsi che i titoli dei chip stiano crollando.
Con il crollo delle aziende tecnologiche, anche l’economia americana ha subito una battuta d’arresto, il secondo elemento che ha depresso gli investitori. Fino a poco tempo fa “le cattive notizie sono buone notizie” era il mantra del mercato.Ogni accenno di rallentamento della crescita o di indebolimento del mercato del lavoro era positivo per i prezzi degli asset, in quanto significava che l’inflazione sarebbe stata probabilmente più contenuta e avrebbe permesso alla Federal Reserve di tagliare i tassi di interesse più rapidamente. Ma quando il 2 agosto è stato pubblicato il rapporto sui posti di lavoro in America, il clima è cambiato: ora le cattive notizie sono cattive e basta.
I dati hanno rivelato che a luglio il tasso di disoccupazione è salito ai massimi di tre anni, al 4,3%, mentre l’economia ha aggiunto solo 114.000 posti di lavoro, a fronte di una previsione di 175.000 unità. In altre parole, il rischio di una recessione che molti pensavano fosse stata evitata è aumentato. Di conseguenza, i trader hanno iniziato a scommettere che la Fed avrebbe tagliato i tassi di mezzo punto percentuale nella prossima riunione della banca centrale a settembre, per scongiurare tale rallentamento. Questo nonostante Jerome Powell, il presidente della Fed, abbia respinto l’ipotesi di una simile mossa solo pochi giorni fa. I rendimenti dei Treasury sono crollati, con il tasso a due anni sceso al 3,9%, più di un punto percentuale al di sotto del livello di fine aprile. Settimane fa una simile riduzione dei costi di finanziamento avrebbe potuto favorire le azioni. Ora gli investitori sembrano temere i lati negativi del rallentamento della crescita e le sue implicazioni per gli utili delle aziende, più che desiderare denaro più economico.
Il terzo elemento che agita i mercati è la forza dello yen giapponese. Nelle ultime settimane si è rafforzato rispetto alle altre valute a un ritmo vicino al record degli ultimi due decenni. In parte, ciò è dovuto alla decisione a sorpresa della Banca del Giappone di aumentare i tassi di interesse di un decimo di punto percentuale il 31 luglio. L’aumento dello yen deprime automaticamente i prezzi delle azioni giapponesi, poiché molte delle multinazionali del Paese, come Hitachi, Sony e Toyota, realizzano i loro guadagni in valuta estera.
Una parte del calo delle azioni giapponesi può essere spiegata da questo effetto. Probabilmente, però, l’effetto più importante è l’annullamento di operazioni popolari legate alla debolezza dello yen e alla politica monetaria ultra accomodante. La combinazione di questi due fattori ha permesso di contrarre prestiti a basso costo in yen, convertire i proventi in dollari e investire in Treasuries, ottenendo un rendimento di gran lunga superiore al costo del debito: il cosiddetto “carry trade”. Ma con l’aumento dei tassi d’interesse giapponesi e il calo di quelli americani, questo commercio ha perso attrattiva. Peggio ancora, il rapido rafforzamento dello yen fa aumentare il costo in dollari del rimborso del debito, portando il “trade” in rosso. I violenti movimenti delle ultime settimane avranno costretto molti investitori a chiudere le loro posizioni e forse anche a vendere altri asset, aumentando l’instabilità dei titoli nazionali e globali.
Come sempre alla fine di una settimana turbolenta, la prima domanda da porsi è se, in mezzo al caos, il prezzo di un asset abbia subito un’oscillazione tale da mettere in pericolo un’azienda fortemente esposta. Su questo fronte, il calo del prezzo dell’oro e dei titoli bancari è inquietante. L’altra domanda, collegata, è se la prossima settimana sarà migliore o peggiore. Supponendo che nessun grande investitore decida di vendere, sarà l’umore collettivo a decidere. E in base alla situazione recente, non è positivo.
© The Economist