La Stampa, 3 agosto 2024
La Meloni si è arrabbiata per la strage di Bologna: «Pericoloso dire che le radici sono nella destra di governo»
Un anno fa, Giorgia Meloni aveva lasciato al ministro Guido Crosetto il compito di usare il termine «neofascista», non pronunciandolo nel proprio intervento a Bologna, per la commemorazione della strage della Stazione Centrale. Allora si era tirata addosso accuse di ambiguità e incapacità di condannare la sovversione nera. Quest’anno l’ha detto. Eppure, ha riacceso le polemiche. Senza neanche metterci piede a Bologna.
«Sostenere che le radici di quell’attentato figurano a pieno titolo nella destra di governo, o che la riforma della giustizia varata sia ispirata dai progetti della P2, è molto grave. Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale di chi cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa Nazione», ha tuonato la premier. E mentre Bolognesi, che presiede la associazione dei parenti delle vittime, le rispondeva dai microfoni accesi accusandola di «fare la vittima», i profili istituzionali erano in gran parte stati dismessi.
E pensare che solo poco prima era arrivato il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che aveva rivolto un pensiero alle nuove generazioni. La bomba ha «lasciato una ferita insanabile. Fu il risultato di una spietata strategia eversiva e questo è un monito da consegnare ai giovani, insieme ai valori della risposta democratica data dalla nostra patria». La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha definito «gravi» le esternazioni di Meloni e ha precisato che «le sentenze sulla matrice neofascista accertano i fatti».
La giornata era iniziata sulla falsa riga dei due agosto degli ultimi quarantaquattro anni: lo storico bus 37 in testa al corteo e al suo interno tutto lo spazio vuoto che quel giorno veniva colmato, avanti e indietro dal luogo della bomba all’obitorio, coi cadaveri. Il vecchio camion scala che i pompieri usarono per salire sulle macerie. Tre taxi in formazione. La margherita bianca all’occhiello dei sopravvissuti e dei parenti di chi invece non c’è più.
Ma poco dopo mezzogiorno, con le delegazioni che ancora deponevano le corone di fiori e il sindaco Matteo Lepore che ricordava come lo scopo dell’attentato fosse quello di «minare la democrazia» e chiedeva di «far presto con i risarcimenti ai famigliari», la premier ha diramato una nota. Citando le «sentenze che attribuiscono la strage a esponenti di organizzazioni neofasciste», manifesta vicinanza con «il dolore e la richiesta di giustizia dei famigliari», ma dice anche di essersi sentita «personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura» che sono stati rivolti a lei e al governo. Si riferisce alle dichiarazioni che il presidente dell’Associazione sopravvissuti, Paolo Bolognesi, ha rilasciato alla vigilia anche su La Stampa. Diceva che, condannati i terroristi di estrema destra che avevano messo la bomba, e i mandanti della loggia P2, con l’aiuto dei servizi segreti, restava il compito di far luce sulle protezioni governative avute dai sovversivi. Poi, sosteneva che l’influenza piduista sull’Italia fosse andata ben oltre la strage.
Citava i depistaggi, le sentenze ribaltate, la presidenza di Berlusconi e la riforma della giustizia che il governo Meloni sta mettendo in atto.
Oltre la polemica politica, comunque, a Bologna ci sono le persone, I partigiani, i sindaci, i vigili urbani in guanti, le maglie lise di antagonisti irriducibili e quelle lucide di chi forse è venuto per la prima volta. Il fenomeno di costume e il racconto di coincidenze agghiaccianti: «Dovevo essere lì, l’ho scampata per un soffio», dice chi era un bimbo ma si ricorda tutto. I cori dei movimenti. I tre fischi corti di un treno che lo iniziano e il fischio lungo che lo chiude: il minuto di silenzio. Una foto e qualche frase di Miriam Ridolfi. L’unico assessore in servizio, che agli anniversari vestiva sempre lo stesso abito. Quello che aveva indosso il 2 agosto 1980 e tenne per le successive 96 ore.
Anche lei, dall’anno scorso non c’è più, ma restano le voci di qualcuno degli oltre 200 feriti, che portano il ricordo del caos, di 85 morti e di una stazione in frantumi.
A Bologna non è mai piovuto durante la marcia per commemorare la strage e nemmeno è mai stato un rituale pacifico. Anche quest’anno, appena il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha concluso il discorso ricordando che in tribunale è stata appurata la matrice neofascista dell’attentato, e promesso che nella ricerca della verità «il governo c’è», un contestatore ha urlato: «Ci dica del ruolo della Nato! Perché non vengono desecretati gli atti?». Con una verità giudiziaria quasi completamente stabilita, questo 44° anniversario doveva, nei piani della destra, essere quello della tregua, se non proprio con la sinistra, almeno con i famigliari delle vittime. Non è andata così. Se oltre alla polemica sapremo consegnare loro una verità definitiva e condivisa, allora, forse, pioverà un 2 agosto a Bologna e la marcia diventerà un rito di pace. —