Corriere della Sera, 3 agosto 2024
Venezuela, Maduro nell’angolo
È muro contro muro in Venezuela, anche se qualcosa si muove dietro le quinte della sfida fra Nicolás Maduro e il fronte delle opposizioni, che si proclamano entrambi vincitori delle presidenziali di domenica scorsa. Usa, Argentina, Uruguay, Costa Rica ed Ecuador hanno riconosciuto il candidato della Plataforma Unida Democratica come legittimo presidente. «Date le prove schiaccianti, è chiaro agli Stati Uniti e, soprattutto, al popolo venezuelano che Edmundo González Urrutia ha ottenuto il maggior numero di voti», ha scritto il segretario di Stato Antony Blinken in una nota, definendo le minacce di arresto nei confronti dei leader oppositori «un tentativo di reprimere la partecipazione democratica e mantenere il potere». Analisti vicini a Washington paragonano ormai Maduro al dittatore del Nicaragua Daniel Ortega.
«Gli Stati Uniti devono tenere il naso fuori dal Venezuela», ha replicato il leader chavista, che ha pubblicato in rete il documento conclusivo dei negoziati in Qatar: prevedeva lo sblocco degli assets del governo venezuelano congelati in Usa e la fine delle sanzioni, sino alla «normalizzazione delle relazioni diplomatiche». Un percorso naufragato con le elezioni del 28 luglio, che gli osservatori del Carter Center hanno dichiarato di «non poter considerare democratiche». Il presidente del Consiglio elettorale venezuelano, controllato dal governo, ieri ha ribadito che Maduro ha vinto con 6,4 milioni di voti, «ottenendo il 52%», ma ancora non ha fornito prove concrete. E dopo aver vietato l’ingresso agli osservatori elettorali europei, ora il regime blocca anche i giornalisti stranieri (ne hanno fatto le spese, tra gli altri, anche gli inviati del Tg1).
Il Venezuela ora trattiene il fiato. Testimoni raccontano di strade deserte e negozi chiusi o svuotati da chi fa provviste per le settimane a venire. Intanto, continuano gli arresti, anche tra gli italo-venezuelani, come ha dichiarato il capo della Farnesina Antonio Tajani. La leader dell’opposizione Maria Corina Machado, che si trova in clandestinità dopo le reiterate minacce di arresto e l’ennesimo assalto alla sua sede politica, ha respinto l’invito all’esilio in Costa Rica e ha convocato per questa mattina una manifestazione di protesta a Las Mercedes, a est di Caracas, invitando la popolazione a mobilitarsi, «assieme a figli, nipoti, nonni», per «riscuotere» la vittoria in tutto il Paese.
La gente comune, però, ha paura. Il procuratore generale annuncia periodicamente il numero di arresti – ormai ben oltre quota mille – minacciando pene severe a «chi disturba la pace». Così, chi può fa incetta di beni di prima necessità e si prepara al peggio, chiuso in casa. Molti, probabilmente, già pensano come seguire le orme degli 8 milioni di compatrioti usciti dal Paese. E qui entrano in scena i presidenti di sinistra di tre nazioni vicine, finora piuttosto tolleranti verso Maduro, che in queste ore hanno più volte richiamato il leader post-chavista a rispettare le regole del gioco democratico. Non possono permettersi nuove ondate migratorie.
Indiscrezioni dicono che il brasiliano Lula, spalleggiato dal colombiano Petro e (controvoglia) dal messicano Obrador, stia cercando una via d’uscita onorevole per Maduro. Potrebbe essere l’esilio temporaneo, come fu per il boliviano Morales, e una transizione guidata da un volto più «accettabile» del regime. Altre voci assicurano che Maduro non ha alcuna intenzione di cedere. Oggi si misurerà la determinazione di tutte le forze in campo. E fin dove sono disposti a spingersi i clan che governano il Venezuela.
«Ciò che Maduro e i suoi alleati temono di più non è perdere il potere, ma trascorrere il resto delle loro vite in una prigione di massima sicurezza negli Usa», sostiene l’analista americano Brian Winter. «Non lasceranno mai senza un accordo per l’immunità».