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 2024  agosto 03 Sabato calendario

Iron dome e rinforzi da Stati Uniti e Regno Unito: così Israele si prepara all’attacco di Teheran

Il Pentagono è «in posizione», lo è Israele e lo sono, in modo più discreto, i partner regionali. Tutti attendono la risposta di Teheran all’uccisione di Ismail Haniyeh.
Come era avvenuto alla metà di aprile, quando ci fu lo scambio di colpi missilistici, non c’è l’effetto sorpresa. Perché gli ayatollah hanno telegrafato le loro intenzioni dando tempo al nemico di prepararsi ma restano tante incognite in quanto l’assalto potrebbe essere superiore ai 300 «vettori» tirati in primavera dai pasdaran. L’Iran ha fatto trapelare, attraverso voci amiche, la possibilità di una rappresaglia corale con la partecipazione di molte milizie alleate. L’Hezbollah libanese, gli Houthi yemeniti, le «brigate» sciite irachene, Hamas e Jihad, le fazioni minori parte del cosiddetto «anello dei missili» creato dagli ayatollah in Medio Oriente. Un eventuale «sciame» di ordigni potrebbe saturare le difese approntate e, del resto, l’Asse ha dimostrato di poter raggiungere comunque il territorio israeliano. Venne colpito un deposito vicino alla pista di Nevatim e, di recente, un edificio nei pressi dell’ambasciata statunitense a Tel Aviv. Nessuno sottovaluta formazioni che hanno migliorato arsenale ed esperienza.
Per questo sono in corso, e non da ieri, delle contromosse. La Casa Bianca ha disposto l’invio di rinforzi nella regione, probabile che vengano spostati altri aerei da combattimento. Lo scacchiere non è però sguarnito. Nel Golfo di Oman incrocia dalla fine di luglio la portaerei Roosevelt, altre unità statunitensi e occidentali si trovano in Mar Rosso dove proteggono la rotta commerciale dalle incursioni dei miliziani yemeniti. Nel Mediterraneo opera la nave d’assalto anfibio Wasp, altre unità e il 24esimo Meu (Marines expeditionary unit), reparto di pronto intervento con elicotteri necessario in caso di un’evacuazione di civili o in appoggio a terra a salvaguardia di una rappresentanza diplomatica.
In arrivo rinforzi
Gli Stati Uniti hanno inviato nell’area unità navali: probabile l’arrivo di nuovi caccia
A disposizione vi sono poi tre installazioni insostituibili. Souda bay a Creta e i due avamposti britannici ad Akrotiri, nella parte meridionale di Cipro. Sempre sull’isola ha le antenne «aperte» del centro d’intelligence inglese sui monti Troodos. Rimane costante il pattugliamento dei Poseidon e dei droni di stanza a Sigonella (Sicilia) che si spingono verso Est in parallelo alla sorveglianza di satelliti e probabilmente velivoli spia U-2, sempre preziosi. Sono cieli sempre affollati: un esperto ha segnalato l’atterraggio di un «Il 76» russo a Teheran non escludendo il trasferimento di materiale bellico.
A questo «cerchio» se ne aggiunge un secondo, altrettanto importante: è lo scudo antimissile composto da Iron dome, da batterie di sistemi Patriot e aerei che possono cercare di fermare gli «incursori» più all’esterno. Nell’episodio di aprile non pochi ordigni sono stati distrutti prima che arrivassero sul territorio israeliano grazie anche allo sforzo di alcuni Paesi dello scacchiere, tra questi la Giordania e forse l’Arabia Saudita. Secondo Channel 12 il premier Bibi Netanyahu ha avuto contatti intensi con Washington, Londra e non meglio precisati governi per coordinare alcune mosse e probabilmente perfezionare il network di prima allerta, quindi di contrasto. Il ministro degli Esteri britannico Lammy, quello della Difesa Healy, accompagnati dal capo di stato maggiore Radakin, hanno avuto colloqui a Tel Aviv.
Una serie di radar, compreso il Sito 512 nel Negev, raccoglie i dati sulle minacce – già dal momento del lancio – e li trasmette al Caoc americano, il Combined air operations center, ad al Udeid, in Qatar. Un curioso incrocio: non è poi così lontano da dove è stato sepolto venerdì Ismail Haniyeh. Funerale al quale hanno partecipato i dirigenti emiratini per rinnovare l’omaggio al palestinese che qui viveva. Ognuno prende la parte che gli interessa e fa finta di ignorare il resto. L’Emiro è sponsor di Hamas, accoglie parte della leadership esterna della fazione ma non ha mai smesso di ospitare un’ampia presenza militare statunitense. Che potrebbe essere importante nel ridurre l’impatto della ritorsione iraniana.