Corriere della Sera, 3 agosto 2024
I rischi possibili dietro i numeri
Ce ne sarebbero di motivi per esercitarsi nel facile ruolo di Cassandre in queste settimane. Se non altro per prepararsi a quella che l’ Economist chiama un’altra «estate pazza». Fatta di spread che si allargano, Borse che cadono spinte giù dai signori dei profitti: i grandi dell’hi-tech. E poi, l’incertezza sul taglio dei tassi, timori per una nuova recessione negli Stati Uniti, una Cina che rallenta assieme al nostro partner per eccellenza: la Germania.
Ma sarebbe altrettanto superficiale ignorare o sottovalutare i campanelli d’allarme che valgono per l’Occidente e segnatamente per il nostro Paese. Superficiale quanto rischioso. Con troppa esultanza si sono accolti gli ultimi dati italiani sul prodotto interno lordo, la misura al momento più attendibile sulla crescita di un Paese.
Abbiamo un aumento già acquisito dello 0,7% del Pil e a fine anno potremmo salire fino all’un per cento e oltre. Ci può far piacere crescere più della Germania ma deve preoccuparci il fatto che il nostro principale partner industriale rallenti. Non è un caso che la crescita aumenti mentre la nostra industria da oltre un anno (16 mesi) registra un rallentamento.
La spinta arriva dal turismo. Uno spostamento verso i servizi che un tempo si sarebbe detto più che virtuoso. Purché si fosse trattato di servizi nel segno della modernità. E quindi ad alta intensità tecnologica per esempio. Di sicuro c’è stato un aumento del 14% delle presenze nel turismo. Dati che ci fanno sicuramente piacere ma che dovrebbero entrare a far parte di una strategia.
S ull’accoglienza andrebbe strutturata un’offerta che sia sostenibile nel tempo e non basata semplicemente sul fatto che disponiamo di buona parte del patrimonio culturale e storico a livello mondiale. Non basta allargare le braccia e accogliere i visitatori in strutture improvvisate e poco efficienti, e con lavoratori mal pagati e precari. È vero che l’occupazione è così a livelli record in Italia. Ma responsabilmente dobbiamo chiederci se e quanto sia di qualità. Il «pittoresco» può aiutare una volta, ma non può essere la caratteristica principale di chi ambisce a essere una delle destinazioni più ricercate al mondo.
Certo, non si costruisce un’infrastruttura turistica al pari di altri Paesi come la Spagna e la Francia nel giro di un paio d’anni. Ma non lo si fa nemmeno dando l’impressione di voler badare solo agli interessi delle categorie che devono offrire servizi (leggi taxi e balneari) e non a quelli che devono usufruire di quei servizi, siano essi cittadini o turisti.
La globalizzazione economica è in arretramento o perlomeno si sta modificando. Al contrario però, la globalizzazione dell’informazione marcia grazie ai social a ritmi forzati. E oltre alle persone anche i Paesi sono sotto gli occhi di tutti. Si è visto ieri come un dato relativamente negativo come i posti di lavoro creati negli Stati Uniti (non all’altezza delle aspettative) abbia innescato paure più o meno razionali sulle Borse mondiali.
Gli esperti di mercati economici e finanziari usano una definizione azzeccata di momenti come questo: «volatili». E cioè, restando in ambito finanziario, chi compra e vende titoli azionari o di Stato è molto confuso dai dati contrastanti che arrivano dagli uffici di statistica. E questo rende altalenante, volatile, la reazione degli investitori.
Quando i mercati sono volatili si innesca una sorta di fuggi fuggi generale. Una «fuga dal rischio», si mettono in vendita i titoli azionari o di Stato in portafoglio. È così che cadono le Borse. Gli operatori cercano liquidità. Né più né meno come noi piccoli risparmiatori quando vediamo una situazione di rischio e corriamo a vendere preferendo avere in banca denaro liquido.
A questo è dovuto l’allargamento dello spread, della differenza tra quanto paghiamo noi italiani di interesse a chi ci presta soldi, rispetto ai tedeschi. Siamo alle soglie dei 150 punti, non elevatissimo, ma cresciuto di quasi il 10% nell’ultimo mese. Questo significa che i nostri titoli vengono acquistati meno o posti in vendita, e dobbiamo pagare tassi di interesse più alti.
Un segnale minimo. Ma che va colto. Il debito pubblico ormai veleggia attorno ai 3 mila miliardi. In rapporto al Pil: il 137,3% nel 2023, mentre nel 2019 (pre Covid) era il 134,8. L’azione della Banca centrale europea, da Mario Draghi in poi, ha fatto capire ai mercati che l’euro e i Paesi che lo compongono, sono ben difesi. E, sinora, le leggi di Bilancio hanno tenuto la barra dritta sul rigore; senza contare quegli oltre 24 miliardi di maggiori entrate che forniscono al ministero dell’Economia un confortevole cuscinetto per la finanziaria del 2025.
Dovremo avere però la capacità di mostrare agli investitori e ai risparmiatori italiani e non che comprano i nostri titoli o che mettono soldi nelle nostre aziende e sul nostro territorio, che abbiamo ben chiaro un sentiero di crescita sostenibile. Con chiare direzioni di marcia (dove sono finite la transizione digitale ed ecologica?). Il mese di agosto spesso in passato si è incaricato di riportare l’attenzione su questioni concrete. Sperando che non si tratti di bruschi risvegli.