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 2024  agosto 02 Venerdì calendario

Biografia di Massimo Ciavarro


«Nei miei geni c’è il mare. Sarà perché mia madre è nata a Ustica. Sarà perché tutto è cominciato quando avevo 14 anni, sulla spiaggia di Tor San Lorenzo, ma io al mare ci sto bene, ho una predisposizione per le isole, d’altra parte la vita di città non mi ha mai attirato, il cemento non mi piace e non amo la socialità». In questi giorni a Lampedusa, dove ormai vive per la gran parte dell’anno, Massimo Ciavarro è impegnato con la rassegna cinematografica Vento del Nord che cura da 20 anni insieme a Laura Delli Colli, la recitazione è un capitolo «quasi totalmente abbandonato», ora l’attore si occupa di turismo, ma il suo ideale, il momento più atteso, è quando può stare da solo, godendosi quelle giornate in cui «si alza il maestralino leggero e anche a Natale ti puoi fare il bagno e stare in grazia di Dio» oppure quelle delle «tempeste di vento, in cui senti che la natura comanda».
Diceva che tutto è iniziato su quella spiaggia vicino Roma. In che modo?
«Avevo 14 anni, si avvicinò un signore con la macchina fotografica al collo, io sono subito corso via. Per 10-15 giorni l’ho evitato, non capivo perché volesse fotografarmi, ero timidissimo. Alla fine ho fatto le foto, dopo un anno mi hanno chiamato per apparire in un fotoromanzo. Ho accettato, stavo attraversando un periodo duro».
Perché?
«Era morto mio padre, non ce la passavamo molto bene dal punto di vista economico, fu mia madre a dirmi “prova, vediamo come va”. Dopo il primo fotoromanzo arrivarono valanghe di lettere di ammiratrici e fan, avevo deciso di non ripetere l’esperienza, la gente mi riconosceva per strada, io sudavo, ero imbarazzatissimo… però mi offrirono un contratto in esclusiva, la cifra, in quel momento, avrebbe potuto risolvere alcuni dei nostri problemi familiari e così ho continuato. Il cinema è arrivato dopo, un produttore mi fece una proposta, io di studiare non ne potevo più, ero arrivato al decimo esame di giurisprudenza, ma mi ero anche iscritto a una scuola di recitazione dove, tra i tanti alunni, c’erano pure Margherita Buy e Moana Pozzi. Ho pensato che non potevo tirarmi indietro. Il film era Vai alla grande, di Salvatore Samperi».
Subito dopo è arrivato Sapore di mare 2 Bruno Cortini, il film in cui ha conosciuto Eleonora Giorgi. Come andò?
«Mi prese un colpo, Eleonora era un’attrice già molto nota, io ero preoccupatissimo, temevo di scordare le battute… Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ho capito già allora che sul set sarei sempre stato a disagio. Un attore bravo trova la sua essenza quando si batte il ciak, io, invece, ogni volta mi volevo ammazzare. Anche se ho fatto una trentina di prove, tra film e serie tv, ho sempre cercato altro e, a una certa età, ho pensato che non avesse senso andare avanti. Perché avrei dovuto continuare a vivere quello stress? Ho ritenuto fosse meglio lasciare stare».
Con la Giorgi è stato subito amore?
«No, ci siamo rivisti un anno dopo le riprese, grazie a un invito di Enrico Lucherini, a casa di Cecchi Gori, durante una serata di Sanremo. Sul set di Sapore di mare 2 avevamo fatto amicizia, un giorno, durante una pausa della lavorazione, ci eravamo incontrati per caso, tutti e due avevamo preso una bici per fare un giro a Forte dei Marmi, avevamo appena girato quella scena famosa “pizza fredda e birra calda”, volevamo rilassarci, ci siamo fatti qualche drink, abbiamo iniziato a chiacchierare, ci siamo conosciuti un po’ meglio».
È la donna della sua vita, anche adesso che non state più insieme?
«Eleonora è stata mia moglie, una parte fondamentale della mia vita, abbiamo fatto un figlio, niente potrà cancellarla. È naturale, non c’è niente di artefatto nel nostro legame».
Quando è stata male, lei è andato in ospedale a fare le notti, ha voluto starle accanto e questo l’ha resa felice, ma l’ha anche un po’ stupita.
«Che cosa avrei dovuto fare? Sarei stata una merda se non fossi andato. Per me è stata la cosa più normale del mondo. Anche se ultimamente non ci sentivamo tanto spesso, nel momento del bisogno era logico starle accanto. Sono stato felice di vedere la sua gioia e anche quella di mio figlio Paolo».
Adesso è nonno. Vede spesso il nipotino?
«Vorrei vederlo di più, ha due anni e mezzo, è stupendo, mi chiama nonno Massolo, ha un po’ paura di me, forse perché i primi tempi mi ha visto con la barba e io ho fatto un po’ il burbero. Però sono contento, almeno sa chi sono».
Suo figlio si è sposato da poco. È contento?
«Sì, penso che Clizia sia la donna giusta per lui, è un vulcano, sempre piena di idee, Paolo invece è un po’ come me, abbastanza cupo. Si completano».
Abitare a Lampedusa ha significato entrare in contatto diretto con la realtà dei migranti. Lei come ha vissuto questi anni di tragedie in mare?
«Stare qui è diverso. Sai che il problema esiste, ma, per assurdo, lo vedi di meno di quanto non accada a chi guarda regolarmente i tg. Qui c’è sempre stata un’organizzazione efficiente, soprattutto negli ultimi due anni, da quando la Croce Rossa ha preso in mano la situazione. Poi, certo, ci sono delle cose che non si dimenticano».
Per esempio?
«Il naufragio del 3 ottobre 2013, quello in cui si rovesciò una barca a poche centinaia di metri dalla riva. Ero in mare a pescare, si cercavano i superstiti. Ho visto galleggiare buste di plastica con le scritte in arabo, dentro c’erano i biscottini, sulle onde affioravano i sandali dei bambini. Vedere con i propri occhi è un’altra cosa».
Ha scelto un’esistenza un po’ da eremita. Che cosa la fa arrabbiare della realtà di oggi?
«Tutto, mi arrabbio per come va il mondo. Soprattutto per come sono i ragazzi di oggi, pensano che la vita sia tutta dentro questo coso, dentro il cellulare, e invece lì dentro non c’è niente. Se continuano così non avranno mai nessuna possibilità di cambiare il corso delle cose e questo è un male, solo i giovani possono provocare il mutamento».
Se incontrasse oggi quel ragazzino che correva sulla spiaggia di Tor San Lorenzo, che cosa gli direbbe?
«Gli direi che ha fatto bene a fermarsi. La sua scelta è stata giusta, gli ha permesso di avere una vita bella. Sono grato a quel ragazzo».
 
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