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 2024  agosto 02 Venerdì calendario

Khalid Sheikh Mohammed, mente dell’11 settembre, ha patteggiato per evitare la pena di morte

Quasi subito, nel gergo della Cia, e poi dei media Usa, si era conquistato l’acronimo «KSM», Khalid Sheikh Mohammed. Un “onore” riservato a pochissimi, come “ObL”, Osama bin Laden. Fu proprio lui, KSM, a convincere il leader di Al Qaeda ad attaccare l’America, con un piano talmente ambizioso che all’inizio venne rifiutato.L’annuncio fatto a sorpresa mercoledì sera dal Pentagono mette fine a una vicenda iniziata l’11 settembre 2001 con gli attentati alle Torre Gemelle e al Pentagono, e col sacrificio del volo United Airlines 93, proseguita con l’arresto di KSM a Rawalpindi, in Pakistan, nel 2003, poi in varie prigioni segrete della Cia, fino al trasferimento a Guantanamo, nel 2006. Gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo di patteggiamento pre processuale con Khalid Sheikh Mohammed e altri due co-imputati per l’11/9, Walid Bin Attash e Mustafa al Hawsawi. Dopo 27 mesi di trattative, i tre hanno accettato di dichiararsi colpevoli. In cambio, l’accusa non chiederà la pena di morte, ma una condanna al carcere a vita.La dichiarazione di colpevolezza dovrebbe essere pronunciata in un’udienza preliminare entro la prossima settimana. Prima che l’accordo venisse reso pubblico, i termini sono stati notificati alle famiglie delle 2. 976 vittime e ai sopravvissuti degli attacchi orchestrati da KSM e dagli altri co-imputati. «La decisione di stipulare un accordo pre-processuale dopo 12 anni di contenzioso non è stata presa alla leggera; tuttavia, è nostro giudizio collettivo, ragionato e in buona fede che questa risoluzione sia la strada migliore per giungere alla conclusione e alla giustizia in questo caso», hanno scritto i magistrati dell’accusa nella loro lettera.L’accordo evita agli Stati Uniti di imbarcarsi in un complicato processo da pena capitale, che avrebbe riacceso i riflettori dei media di mezzo mondo sul buco nero di Guantanamo (Obama all’inizio del suo primo mandato promise di chiuderlo) e sulle torture subite da KSM e i suoi compagni nelle prigioni segrete della Cia, sparse nei Paesi alleati. E sulle torture subite, che per anni hanno bloccato il procedimento giudiziario, nel tentativo di determinare se le confessioni ottenute potevano essere considerate valide davanti a un tribunale.Mohammed era stato formalmente accusato nel 2008, cinque anni dopo il suo arresto. Allora, gli Stati Uniti dissero che avrebbero chiesto la pena di morte. Erano passati circa 10 anni, da quando bin Laden diede a KSM l’approvazione finale per gli attacchi dell’11 settembre. Il primo piano, noto come il “Bojinka plot”, era stato bocciato per la sua complessità, che prevedeva di colpire obiettivi su entrambe le coste Usa. Si giunse quindi alle versione “semplificata”. Ma KSM dovette insistere. «Bin Laden disse a Khalid Sheikh Mohammed che sarebbe stato sufficiente semplicemente abbattere gli aerei e non colpire obiettivi specifici. KSM tenne duro, sostenendo che l’operazione non avrebbe avuto successo a meno che i piloti non fossero stati completamente addestrati e le squadre di dirottamento non fossero state più numerose», testimoniò al Congresso Philip Zelikow, direttore esecutivo della Commissione sull’11 settembre.Nato nel 1965, di nazionalità Pakistana o Kuwaitiana, KSM si era formato come combattente alla fine degli anni’80, unendosi a Peshawar, nel pakistan nordoccidentale, ai mujahideen che al di là del confine, armati dagli Stati Uniti, combattevano in Afghanistan contro i sovietici. Lo stesso percorso compiuto da bin Laden e dallo Stato Maggiore di Al Qaeda. La protezione dell’Isi, l’Inter-Services Intelligence, i potenti servizi segreti pakistani gli valse quasi la salvezza. Nel 2002, l’Isi sostenne di averlo ucciso in un raid a Karachi. La Cia non ci cascò. La cattura avvenne il 1 marzo del 2003 a Rawalpindi, non lontano da Islamabad. Nel frattempo, a inizio 2002, KSM e i suoi avevano rapito e poi ucciso a Karachi il giornalista del Wall Street Journal, Daniel Pearl. Nel video della sua decapitazione compariva, col volto mascherato, proprio KSM. «L’ho decapitato con la mia benedetta mano destra», confessò in una dichiarazione scritta. La confessione non venne ritenuta valida, perché ottenuta sotto tortura.