Corriere della Sera, 1 agosto 2024
Intervista a Gianluca Grignani
Da piccolo voleva diventare un cowboy. O Elvis.
«Era appena morto, guardavo tutti i suoi film. E mi affascinava l’idea di un uomo duro e solitario dall’animo nobile. Ma senza pistola. E un po’ lo sono davvero, un cowboy in versione urbana, la solitudine mi piace».
È contento di quello che è?
«Sì, dai, sono nella direzione giusta».
Chi è Gianluca Grignani, ce lo dica lei.
«Un artista. Una persona vulnerabile. La vulnerabilità è necessaria, la parte di te che soffre ti rende più umano. Mi piego come il giunco ma non mi spezzo. Però non significa che sia facile colpire i miei punti deboli».
Le hanno fatto del male?
«Sì, per la mia ingenuità. Sono buono, però poi so reagire e ritrovo la forza».
Nel libro autobiografico «Residui di rock‘n’roll» racconta che sua madre la voleva «duro come il cuoio».
«Mi ha cresciuto così, adesso è molto fiera di me».
E ci è riuscito?
«In parte sì. L’ho anche scritto: “Ed è per questo, che mi vedi fare il duro...”. Ognuno di noi si indurisce col tempo, ti ci porta la vita».
Con suo padre ha avuto un rapporto complicato.
«Giudicare è difficile, sono padre anche io, ho perdonato. Non si impara mai. Ha commesso molti errori, per egoismo, non aveva le attenzioni».
In «Quando ti manca il fiato», brano che gli ha dedicato, lui le chiede: «Tu verrai o no al mio funerale?». Ci è andato?
«No. Viveva in Ungheria, è successo tutto all’improvviso. Ma sto cercando di avere le sue ceneri».
C’è qualcosa che si pente di non avergli detto?
«Gli ho detto tutto. Forse che doveva essere più sveglio con cervello. Non era né un delinquente né un ubriacone, ma ha fatto una vita che non aiutava la nostra famiglia. Poteva non lasciare tutto il peso a me».
Le è mancato qualche «Ti voglio bene».
«La mia non era una famiglia espansiva. Però gli abbracci di mio padre me li ricordo. E mamma che mi accarezzava i capelli. Mi piace. Quando una donna lo fa, è già a buon punto con me».
I capelli erano la sua fissa.
«Avevo paura di perderli».
Primo bacio?
«A 13 anni. La prima volta a 15, ma non sono grandi ricordi».
Era già molto bello.
«Mi dicevano che assomigliavo a Luis Miguel. Portavo i capelli lunghi come Capitan Harlock. I ragazzi più grandi erano gelosi. Litigavo e prendevo botte».
Ha detto: «La prima volta che mi sono guardato allo specchio ho visto uno troppo bello per come ero dentro».
«Fuori ero così, già da piccolo. Ma dentro di me c’era Joker».
Sulla bellezza ci marciava?
«Poco, sembra strano, ma non sono un furbone in quel senso».
Ora non vorrà sostenere che...
«No, avventure ne ho avute tante, però sono ancora qui. Niente e nessuna si ferma con me. Le astuzie delle donne mi annoiano, le vedo tutte e mi allontano. In apparenza resto gentile, un signore, ma in realtà sono già scappato».
E che deve fare una per trattenerla?
«Essere sincera, diretta, non nascondermi le cavolate, tanto ti becco subito. Essere rock‘n’roll».
Ovvero?
«Sentirsi libera e allo stesso tempo volersi legare a me».
Paura di invecchiare?
«No, ancora no. Ho paura di avere paura».
«Non sono stato molto amato, sono impegnativo», altre parole sue.
«Vero. Do talmente tanto, che richiedo anche tanto. Se non ricevo indietro abbastanza non funziona. Molte mie ex le adoro, ma non c’è stata la capacità di volere stare insieme fino in fondo».
Qualche no lo ha preso?
«Tante donne le ho avute, qualcuna no. Non mi ci sono impegnato mai troppo, nemmeno se era una modella bellissima. Non lo trovavo così interessante. Se incontrerò quella per cui ne vale la pena, mi spenderò fino in fondo».
Le avrà fatte tribolare.
«Qualche volta mi sono comportato male, non sono un esempio, però sono sempre stato onesto. Stasera, per dire, dovrei uscire con una, ma mi sa che non ne ho più voglia».
La peggiore malefatta in amore?
«Con la ragazza di La mia storia tra le dita. L’ho lasciata il giorno del mio diciottesimo compleanno. La amavo, ma non avevamo futuro. O meglio, sarebbe stato scintillante per lei e amaro per me. Non mi lasciava fare musica».
Nella canzone però è lui quello che viene mollato.
«Ho preso solo spunto. In fondo lei mi mancava».
Sa che l’ha scritta per lei?
«Sì. Si chiama Sara. Ogni tanto ci siamo sentiti su Instagram».
Si è tatuato sul braccio: «Ricordati di volerti bene». Se ne vuole?
«Sì, mi tratto sempre meglio».
«Ho ricevuto solo calci e schiaffi», ha detto.
«Non ci penso più, però mi hanno fortificato».
«Davo fastidio a tutti i miei colleghi». Davvero?
«Erano invidiosi di me».
Chi sono invece gli amici?
«Lucio Dalla è stato il migliore amico che ho avuto in questo ambiente. La prima volta che andai a casa sua, entrando in soggiorno non vidi nessuno. Poi mi accorsi che mi stava scrutando da dietro una poltrona. Mi spiegava: “La libertà è un lavoro difficile”. Una volta telefonò a casa per invitarmi in barca, rispose mia madre. “La ammiriamo tanto, signor Dalla, ma mio figlio non è il tipo”. Quando Lucio me l’ha raccontato ci abbiamo riso un quarto d’ora».
Califano.
«Franco mi aveva adottato. Diceva: “In Italia c’è un fijo de na mign...a peggio de me, è Gianluca Grignani” – (lo imita alla grande) —. L’ho preso come un complimento».
A Enzo Jannacci ha chiesto scusa. Ma di cosa?
«Non voglio entrare nei dettagli. Non ho capito e l’ho ferito, non volevo, cercavo di difendermi, ero giovane».
Vasco Rossi è un amico?
«Quando riusciamo e vederci e sentirci sì. Gli dissi: “Sei un mito”. Si incazzò. “Guarda che non sono ancora morto”».
Ha vissuto pure lei una vita spericolata.
«No, quella è soltanto sua. La mia è avere le pareti di casa dipinte di nero su cui scrivere i testi».
Guè sui social ha scritto che «Grignani è un dio».
«Gli voglio bene, è molto bravo, ma non sono un dio. Mi chiamano anche “leggenda”, mi sta bene. Mi fa piacere che la mia musica piaccia».
Chi le somiglia di più?
«Irama è quello che ha più futuro. Blanco è rock‘n’roll, ha le armi per fare un salto e seguire le mie orme, anche se musicalmente è diverso».
E chi è più figo tra lei e Damiano dei Maneskin?
«Lui, assolutamente, è stupendo».
Vi conoscete?
«Ci saremo incrociati forse per sbaglio».
Tempo fa disse che vedeva bene Fedez come premier.
«L’anno scorso. Ora però ha altro a cui pensare».
I suoi eccessi, le sfuriate con il pubblico, i concerti interrotti.
«Non sono un santo, ma alla gente vado bene così. Stiamo zero a zero e palla al centro. Anzi, ho più credito ora che prima, le mie canzoni hanno una profondità che dura nel tempo».
Il momento più brutto.
«Ogni mattina quando mi alzo. Dormo male, agitato».
E in assoluto?
«La morte di papà».
Quello più bello.
«Quando sono nati i miei figli».
È innamorato?
«No. Lo vorrei, perché mi fa scrivere canzoni».
La sua Destinazione Paradiso dov’è?
«Sean Penn la immagina come un posto pieno di donne e di birra. Io non la so definire, è un’energia che non sta qui».
È felice?
«Mai e sempre».
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