il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2024
Ecco perché il Tav diventa un bancomat Ue per i costruttori
L’eterna telenovela del Tav Torino-Lione ha la sua immancabile puntata estiva. Arrivano nuovi finanziamenti dall’Europa, quelli che dovrebbero coprire il 55% dei costi dell’opera. Bruxelles comunica l’assegnazione di 700 milioni di euro del Cef, Connecting Europe Facility, il programma per finanziare i grandi progetti infrastrutturali. Da Telt, la società italo-francese che sta lavorando per realizzare la Torino-Lione, arriva intanto la notizia che i costi sono saliti da 8,6 a 11,1 miliardi e che la consegna è posticipata al 2033. L’arrivo dei 700 milioni – sottolinea Telt – è segno dell’impegno dell’Europa per il Tav: sono il 10% del budget europeo disponibile e rendono questa opera, per importo erogato, il terzo progetto finanziato dall’Unione. Per gli ingegneri della commissione tecnica sul Tav dell’Unione montana Valle di Susa, invece, quei 700 milioni sono briciole: neppure il 3% del budget europeo 2021-2027 per le infrastrutture di trasporto, che ammonta a quasi 26 miliardi di euro. Nel 2014 la Torino-Lione portò a casa 814 milioni, cioè il 7% del budget 2014-2020 (che era di 11,7 miliardi). Oggi, malgrado i soldi disponibili fossero più del doppio (quasi 26 miliardi, appunto), il contributo diminuisce sia in cifra assoluta sia in percentuale. Non solo. Questi fondi europei arrivano dopo 10 anni dall’ultima assegnazione, avvenuta con il bando Cef 2014. E sono l’ultima erogazione possibile per il settennato 2021-2027: per l’arrivo di altri finanziamenti si dovrà aspettare almeno il 2029, dopo che sarà approvato il bilancio europeo del successivo settennato 2028-2034. Insomma – secondo i tecnici del movimento No-Tav – l’Europa nei fatti non dimostra molta passione per la grande opera che piace tanto a Matteo Salvini e a molti anche a sinistra. La lentezza con cui arrivano i finanziamenti europei dipende anche dai ritardi nei lavori: per chiedere soldi nuovi, bisogna prima finire di spendere quelli già assegnati; e in questi anni Telt non ha brillato per capacità di spesa. Lo ha segnalato anche la Corte dei conti europea nel 2020: con i fondi erogati nel 2014, si dovevano completare entro 5 anni, cioè nel 2019, gli studi e i lavori finanziati. Telt ha chiesto ben tre proroghe, terminando quei lavori in 10 anni, ovvero nel doppio del tempo previsto. Sono stati chiusi in fretta e furia nel febbraio 2024, per poter partecipare in extremis all’ultimo bando di finanziamento del settennato europeo, dopo aver perso i due bandi precedenti. Così sono arrivati i 700 milioni appena annunciati. Dal 2001 a oggi, sono stati già spesi quasi 2 miliardi in opere preparatorie, senza che le cinque talpe comprate per scavare il tunnel ferroviario tra Italia e Francia siano entrate in funzione: sono ancora parcheggiate nello stabilimento in Germania dove sono state assemblate. Per scavare la galleria serviranno almeno altri 11 miliardi, di cui il 45% dovrà essere pagato da Italia (almeno 2,5 miliardi) e Francia (altri 2,5) e il 55% dall’Europa (almeno 6). Arriveranno? E quando? L’entrata in servizio della linea, prevista ora per il 2033, sembra un miraggio: imporrebbe una capacità di spesa entro quella data di 11 miliardi. Ma a questo ritmo di spesa e di finanziamenti – circa 750 milioni europei ogni sette anni – per finire il tunnel ci vorranno altri sette settennati, ossia una cinquantina d’anni. Al di là degli annunci e delle previsioni, sembra che i soldi servano solo a finanziare nel tempo la lobby del Tav, amministratori e costruttori, senza alcuna garanzia di riuscire a realizzare davvero l’opera. Del resto, la linea ferroviaria già esistente è più che sufficiente a trasportare le merci che viaggiano tra Italia e Francia. E ormai il progetto si è ridotto al solo tunnel, abbandonando l’idea di nuove linee d’accesso in Italia (Val di Susa) e soprattutto in Francia (Modane-Dijon, saltando Lione). Il Tav non è più un progetto infrastrutturale: è ormai solo una bandiera per la politica e un bancomat per i costruttori.