Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 01 Giovedì calendario

Renzi legge Dostoevskij su Firenze al contrario

A me, tra le figure retoriche, quella che mi piace di più è la ripetizione, e quando mi dicono che scrivo un po’ sempre le stesse cose io penso che è vero, scrivo un po’ sempre le stesse cose e ci son due motivi, per lo meno, per cui secondo me ha senso, scrivere un po’ sempre le stesse cose: il primo, che la figura retorica che mi piace di più è la ripetizione, il secondo che nella mia vita, mi sembra, succedono un po’ sempre le stesse cose.
Dodici anni fa, nel 2012, Marco Travaglio mi ha chiesto di recensire, per il Fatto Quotidiano, un libro che io, di mio, non avrei probabilmente mai letto, Stil novo, di Matteo Renzi, che era, ho scoperto dodici anni fa, una specie di saggio sulla bellezza, ma pieno di frasi stupefacenti, come per esempio: “Dobbiamo avere la forza di sconfiggere il pensiero debole dei poteri forti, o presunti tali”. Oppure: “Diciamoci la verità, a Firenze ci sono cose meravigliose, che spaccano il pensiero”. “Ma Firenze fa anche arrabbiare /…/, anche questa città, patria dell’arte e della cultura, si fa spesso raggiungere dalla mucillagine del banale”. Oppure: “Sono sicuro che se Dante fosse in vita scriverebbe sul suo blog parole al vetriolo contro queste assurdità”. O, ancora: “Io sono convinto che Dante era di sinistra, anche se non lo sapeva”. E, infine: “Anche perché, diciamo la verità, la Gioconda è più enigmatica che bella”. Ecco questa è una frase che, in un saggio sulla bellezza, diciamo la verità, non mi sarei mai aspettato di trovare, e invece c’era, pensa che strano.
Ma la cosa forse più strana che ci ho trovato, in questo saggio di Matteo Renzi, è il fatto che se fai un giro per Firenze, per la bellissima Firenze, il senso di quel giro “ti si fissa in mente mentre arrivi in piazza Pitti: una targa richiama l’attenzione, all’altezza del numero civico 22. È la testimonianza che in questa casa Fëdor Dostoevskij ha scritto L’idiota, uno dei suoi capolavori”. E poi continua, Renzi, dicendo che gli piace pensare che l’idea che “la bellezza salverà il mondo”, che è un’idea (forse) del protagonista dell’Idiota, il principe Myškin, a Renzi piace pensare che questa idea sia venuta a Dostoevskij grazie a Firenze, “che Firenze, in qualche modo”, possa “avergli ispirato quella frase sul valore salvifico del bello”, scrive Renzi e io, all’epoca, devo dire che ero stato suggestionato da questa idea suggestiva esposta nel capitolo “Michelangelo e il servizio pubblico” del libro di Matteo Renzi Stil novo.
Solo che poi, tre anni dopo, nel 2015, stavo provando a scrivere un romanzo il cui protagonista era uno studente fuori corso che da degli anni cercava di scrivere una tesi sulle brutte figure in Dostoevskij, e avevo preso, di Dostoevskij, il libro Lettere sulla creatività, a cura di Gianlorenzo Pacini, che è una scelta delle lettere di Dostoevskij che trattano della scrittura, e son capitato su una lettera del gennaio del 1869 che Dostoevskij scrive da Firenze e che comincia così: “È assolutamente necessario che io torni in Russia, qui sto perdendo perfino la possibilità di scrivere”. E ho pensato “Ma dài”. Ma che tipo, Dostoevskij, ho pensato.
Invece di farsi ispirare da tutta la bellezza che aveva intorno, va a scrivere una frase così antipatica: “È assolutamente necessario che io torni in Russia, qui sto perdendo perfino la possibilità di scrivere”.
Ecco allora, nove anni fa, nel 2015, dopo aver trovato questa frase sono andato a informarmi e ho scoperto che L’idiota Dostoevskij ha cominciato a scriverlo in Russia alla fine del 1866, l’ha continuato nel 1867 a Ginevra, a Vevey e a Milano e l’ha finito a Firenze (dove era arrivato sul finire del 1868) nel gennaio del 1869, quindi a Firenze Dostoevskij ha scritto l’ultima parte del romanzo, quella più cupa, più disperata, quella del delitto, della ricaduta, quella che ha meno a che fare con l’idea, bellissima, che “il mondo, lo salverà la bellezza” (la traduzione giusta secondo me è questa), proprio il contrario di quel che diceva Renzi nel suo libro Stil novo.
Ecco, nove anni fa, nel 2015, dopo aver scoperto queste cose, avevo scritto e pubblicato su un quotidiano un pezzetto dove raccontavo che purtroppo Dostoevskij, diversamente da quel che si leggeva in Stil novo, da Firenze non vedeva l’ora di andar via e oggi, 30 luglio del 2024, leggo che Renzi, in un’intervista al Corriere della Sera, ripropone quella sua teoria di Firenze che ispira a Dostoevskij l’idea che il mondo, lo salverà la bellezza e, al giornalista che gli chiede se la cosa è provata, lui risponde “È verosimile”. Ecco. No. Non è verosimile. E oggi, 30 luglio 2024, ho scritto un pezzetto per dirlo, che non è verosimile, che è un po’ lo stesso pezzetto che avevo scritto nove anni fa e va bene così, a me tanto piacciono, le ripetizioni.