la Repubblica, 2 agosto 2024
Biografia di James Baldwin
La condizione di figlio illegittimo e una preoccupazione quasi ossessiva nei confronti del patrigno sono temi costanti nella vita e nell’opera di James Baldwin. Ai suoi occhi, le circostanze della sua nascita da Berdis Jones, il 2 agosto 1924, al New York City’s Harlem Hospital, diventeranno, negli anni a venire, il simbolo della condizione di illegittimità che marchiava il suo gruppo etnico nella cornice della nazione americana. Che Baldwin abbia conosciuto o meno l’identità del vero padre, comunque la tenne per sé. Gli era più utile ricorrere alla sua condizione di figlio illegittimo, a quella di membro di una minoranza, a quella di omosessuale, come materiale a sostegno dell’immagine mitica e rappresentativa che lui stesso indicava in titoli come Nessuno sa il mio nome o Stranger in the Village.È vero che i primi anni della sua vita Baldwin li dedicò alla ricerca di un padre, ma non di un padre biologico: si riferì quasi sempre al patrigno come a suo “padre” e la cosa non gli creava problemi. La sua ricerca, piuttosto, era tesa all’individuazione di un padre ideale: un alimentatore di autostima che l’avrebbe sostenuto e guidato nel tentativo di diventare uno scrittore e un “predicatore”. Di riflesso, la sua era anche una ricerca simbolica tesa a reclamare i diritti di nascita che venivano negati, a lui e a tutti i “neri”, come venivano definiti da coloro che insistevano a considerarsi “bianchi”.Che Baldwin affrontasse la propria biografia in termini metaforici e simbolici fu evidente ancor prima che cominciasse a parlare della propria condizione individuale di figlio illegittimo. La prima importante dichiarazione autobiografica si trova nel saggio Notes of a Native Son del 1955, in cui, come ha riconosciuto Horace Porter, Baldwin individuò «un tratto universale, collegando la sua esistenza e quella della sua famiglia all’intera umanità». Nelle note autobiografiche contenute inNotes of a Native Son, il saggio che dà il titolo alla raccolta, Baldwin parlò dell’importanza di essere stato costretto, fin dai primi anni della sua vita, a riconoscere la propria condizione di «bastardo d’Occidente». Baldwin non era un presuntuoso, ma considerava la propria nascita e la propria infanzia come parte diuna missione profetica. Vedeva se stesso, piaccia o meno, come una persona destinata a “salvare” il prossimo mediante la parola.Da bambino aveva una collinetta prediletta a Central Park, dove si rifugiava ogni volta che poteva, da dove guardava la grande città, e come il suo personaggio di finzione, John, in Gridalo forte,sognava un futuro messianico: «Come un conquistatore atteso a lungo, ai piedi del quale si sarebbero sparsi dei fiori, e davanti al quale una moltitudine avrebbe gridato Osanna! Fra tutti sarebbe stato il più potente, il più amato, l’unto del Signore; avrebbe vissuto in quella splendida città che i suoi antenati avevano solo guardato da lontano, con desiderio».Lo scrittore e futuro “portavoce” era nato, come numerosi eroi mitici, in un luogo trascurato dove sofferenza e privazioni erano diffuse, un posto che rimane ancora oggi una metafora appropriata a illustrare la grettezza spirituale della più vasta comunità che lo circondava, di cui aveva terrore e che allo stesso tempo ignorava. Crescendo ad Harlem, James Baldwin usò il mistero legato alla sua nascita e alle sue umili origini, e anche l’inadeguatezza del patrigno, come punti di partenza per la testimonianza, durata un’intera vita, del fallimento morale della nazione americana – e più in generale della civiltà occidentale – e del potere dell’amore di farla resuscitare.Il patrigno di James, «il buonamico del Signore Onnipotente» era figlio di una schiava di nome Barbara che aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita nella casa di Baldwin ad Harlem, costretta a letto, e che aveva trasmesso al piccolo James un forte timore reverenziale. Uno dei primi ricordi di Baldwin fu l’aver ricevuto dalla anziana donna una scatola di biscotti in metallo decorata e piena di aghi e filo.Inevitabilmente sua nonna incarnò il legame con quegli orrori solo sussurrati, e che a un bambino dovevano sembrare un passato assai remoto. E anche in quanto madre di quattordici figli, alcuni “neri” e altri – almeno così si diceva – “bianchi”, divenne inevitabilmente per James Baldwin, lo scrittore e il profeta, il prototipo di quella maternità forzata che ormai rendeva i bianchi e i neri “fratelli” e “sorelle”, che lo volessero o meno.David Baldwin era un predicatore e un bracciante, arrivato nel Nord del Paese da New Orleans nei primi anni Venti e che faticava a mantenere la sua famiglia, per quanto si sforzasse in tutti i modi negli anni della Grande Depressione. Non solo sostituì il padre che Jimmy non aveva mai conosciuto, ma ai suoi occhi divenne persino un simbolo. Era l’archetipo del padre nero, la prima generazione emancipata dalla schiavitù, ma, per colpa dell’ombra onnipresente e degli effetti concreti e frequenti della discriminazione razziale,impossibilitata a garantire alla propria famiglia quel di cui aveva maggiormente bisogno: il diritto di nascita, la propria identità in quanto individui e non come membri di una classe sociale o di un gruppo etnico. «Sono nero tanto quanto tu pensi di essere bianco» era solito dire il figliastro negli ultimi anni di vita quando si rivolgeva a uditori diversi. Il reverendo David Baldwin era la prova vivente di quel fatto. La sua rancorosa sottomissione agli impiegati del recupero crediti, ai proprietari di case, e a qualsiasi altro bianco portò il giovanissimo Baldwin a non provare più rispetto nei suoi confronti.InNotes of a Native Son Baldwin ricorda con che riluttanza il patrigno concesse a una delle sue maestre di accompagnare James a una rappresentazione teatrale, perché troppo spaventato all’idea di non concedere il permesso, almeno così pensò il bambino, dato che la maestra era bianca. Era un’uscita che Jimmy desiderava moltissimo, ma desiderava ancora di più un padre la cui parola e le cui opinioni – per quanto sbagliate – fossero ascoltate e rispettate.Gli studi statistici e sociologici odierni ci dicono che la maggior parte dei padri in situazioni analoghe a quelle di David Baldwin abbandonavano la famiglia. Ma il patrigno di Jimmy non abbandonò mai la famiglia… impazzì, però. Ma accadde per gradi, cominciando nel Sud prima di migrare a New York. Se il “diavolo bianco” non lo riconosceva come uomo, forse l’avrebbe fatto Dio. Divenne un predicatore, esaltando, nella tradizione delle chiese pentecostali afroamericane, la speranza per una vita migliore dopo il “passaggio”, e invocando l’ira divina contro i peccatori della bianca Sodoma e Gomorra.Dal pulpito la sua collera e la sua disperazione si trasformavano in una rabbia e in una carica legittime. Il remissivo percettore di reddito poteva diventare il profeta dell’Antico Testamento capace di predicare il sentiero impervio e stretto verso la propria identità e l’autostima, che le difficoltà economiche della vita concreta rendevano impossibile: «E se pur non vi aggrada di servire al Signore, sceglietevi oggi a cui volete servire; o agl’iddii, a’ quali i padri vostri, che furono di là dal Fiume, servirono, ovvero agl’iddii degli Amorrei, nel cui paese abitate; ma io e la casa mia serviremo al Signore».Per i membri della sua famiglia la profezia del padre assumeva la forma di una disciplina puritana e arbitraria e di un’atmosfera deprimente carica di una frustrazione amara che non alleviava in alcun modo la sofferenza per la povertà e l’oppressione. Invece del padre affettuoso che desiderava James – il padre che continuò a cercare di creare nei suoi ultimi romanzi – la famiglia Baldwin era vittima della presenza di una parodia afroamericana del bianco Signore Onnipotente così essenziale alla tradizione del Sogno americano calvinista cui loro era impedito essere parte.