la Repubblica, 2 agosto 2024
Le casematte della guerra infinita
Da Hitler all’ossessione degli svizzeri: i rifugi sotterranei che qualcuno definisce “piccoli templi senza religione”
Tra il 1958 e il 1965 un giovane studioso di architettura di nome Paul Virilio inizia a frequentare le spiagge francesi della Normandia. Ha cominciato a fotografare le costruzioni che i tedeschi hanno realizzato lungo le coste che si affacciano sul Canale della Manica. È affascinato da questi edifici che appartenevano al cosiddetto Vallo Atlantico, che dai confini con la Spagna si estendeva attraverso il Belgio e i Paesi Bassi, fino a raggiungere le coste della Norvegia. Si tratta di cupole, monoliti, torri di osservazione, hangar, postazioni antiaeree, rifugi per sentinelle, tutte costruzioni di cemento armato che nel 1941 Adolf Hitler, dopo che le armate tedesche avevano occupato buona parte del continente, aveva deciso di far edificare per difendere la Fortezza Europa dalle invasioni provenienti da Ovest. Il 23 marzo del medesimo anno nella Direttiva di guerra numero 40 veniva definito l’ Atlantikwall, pensato dal Führer sul modello del Vallo di Adriano. Sono i bunker, come poi verranno chiamati comunemente, parola tedesca comparsa nel 1940, per quanto coniata dagli inglesi, che in origine indicava un deposito di carbone di un’officina o di una nave.
Il suo significato nel corso della Prima guerra mondiale era: rifugio blindato. La Linea Maginot, primo grande esempio di fortificazioni composte di casematte, era stata costruita dai francesi tra il 1930 e il 1940 in funzione antitedesca, ma le armate hitleriane l’avevano aggirata passando attraverso il Belgio e i Paesi Bassi. Virilio, diventato uno dei maître à penser della sociologia e filosofia francese, è affascinato da queste architetture in cui vede dei «piccoli templi senza religione» ed esporrà le sue foto in una mostra a Parigi nel 1975.
Per quanto ignorati dagli studiosi di architettura, e rimossi prima della pubblicazione dello studio di Virilio, i bunker sono un tema ricorrente ogni volta che si torna a parlare degli attacchi nucleari. Alcuni paesi, ad esempio la Svizzera, hanno costruito rifugi sotterranei per difendere la loro popolazione da questi eventi. Durante il periodo della cosiddetta Guerra fredda la Nato aveva creato in alcuni punti del confine orientale dell’Italia dei bunker per accogliere i comandi militati, così come era accaduto nel corso della Seconda guerra mondiale. Non è forse un caso che l’epilogo della vita di Hitler si sia svolto nel bunker della Cancelleria mentre le truppe sovietiche si stavano avvicinando al centro di Berlino. In una pagina di un suo diario Ernst Jünger paragona il bunker alle catacombe, alle piramidi egizie e alle architetture azteche per la loro forma schiacciata e cheloniana, simile a una tartaruga, che egli vede in stretto rapporto con la morte. Se la maggior parte delle nostre moderne costruzioni è radicata a terra attraverso le fondazioni, ricorda Virilio in Bunker Archéologie (1994), in queste casematte non esistono, poiché il loro centro di gravità coincide con la loro funzione ctonia: immergersi nelle profondità della Terra per sopravvivere al conflitto armato e alle invisibili radiazioni nucleari.
La caratteristica principale dei bunker è di essere «una delle rare architetture monolitiche moderne». Figlia del cemento, béton, materiale preferito dalla modernità costruttiva, la costruzione difensiva sotterranea sembra oggi superata dalle moderne tecniche di combattimento, tuttavia conserva un suo indubbio fascino e forse non è così obsoleta come potrebbe sembrare. Albert Speer, uno dei pochi capi nazisti sopravvissuti al processo di Norimberga, è stato il vero creatore di queste moderne cripte. Mentre presiedeva alla costruzione del Vallo, Speer aveva pensato a una città sotterranea composta, oltre che di rifugi blindati, anche di infrastrutture collegate da telefoni, radio, radar, veri e propri cluster che avrebbero rinnovato la funzione delle antiche caverne preistoriche, per accogliere una umanità futura che sarebbe nata alla fine del conflitto scatenato a Est e a Ovest delle armate tedesche. Come ricorda Virilio, Hitler stesso, ex pittore, era stato l’autore di alcuni schizzi e disegni dei bunker. Nel finale del film di Kubrick Il dottor Stanamore. Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e amare la bomba, il personaggio impersonato da Peter Sellers, un ex scienziato tedesco costretto su una carrozzina, davanti all’evento del prossimo olocausto nucleare provocato da un paranoico generale a stelle e strisce, mentre si trova nel grande bunker sotterraneo del centro strategico americano, propone di salvare una parte della popolazione degli Stati Uniti allocando nelle miniere più profonde uomini e donne. Saranno scelti in base all’attrazione sessuale al fine di riprodursi in attesa di tornare alla superficie, e prepararsi alla prossima guerra contro l’Urss. Mentre spiega al presidente come fare, si alza miracolosamente in piedi e si mette a camminare, mentre il film trasmette le prime malinconiche note diWe’ll Meet Again di Vera Lynn e sullo schermo esplodono le testate nucleari.