Il Messaggero, 1 agosto 2024
Biografia di Sophie Scholl
«Come possiamo aspettarci che la giustizia prevalga quando non c’è quasi nessuno disposto a dare sé stesso individualmente per la giusta causa? È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone saranno risvegliate?». Sono le ultime parole pronunciate da Sophie Scholl, la giovane anti-nazista cattolica, animatrice del gruppo La Rosa Bianca (Die Weisse Rose). Quando si dice che la Germania non conobbe mai movimenti di resistenza organizzata, occorrerebbe ricordare l’eroismo di questi giovani.
AVVERSIONE
Sophie non era sola, con lei c’erano il fratello maggiore Hans e l’amico comune Christoph Probst. Tutti e tre furono ghigliottinati il 22 febbraio 1943, al termine di un rapido processo farsa, dopo torture e vessazioni. La loro colpa era quella di aver maturato un’avversione profonda al regime, che peraltro non si era tradotta in azioni violente, bensì nella distribuzione clandestina di volantini e opuscoli contro la guerra. Erano iniziative rischiose, compiute spesso di notte e servivano a offrire un altro punto di vista a un paese reso sordo e cieco dalla più atroce delle dittature. Un incitamento a riscoprire una dimensione spirituale della vita e a riconciliarsi con il prossimo grazie all’insegnamento di Gesù.
Ma tanto bastò per mettere fine alla vita della studentessa. Sophie era nata a Forchtenberg il 9 maggio 1921 e dunque non aveva compiuto ancora 22 anni. Eppure – come ricordò alcuni anni fa uno dei pochi superstiti della “Rosa Bianca”, Franz Joseph Müller – era lei la più determinata del gruppo, la più serena nel difendere le sue idee senza concedere nulla agli aguzzini. In Sophie si fondeva l’impronta luterana che le veniva dalla madre Magdalena, diaconessa prima del matrimonio, e l’insegnamento religioso del padre Robert, un liberale cattolico ostile all’hitlerismo. L’influenza della famiglia sarebbe stata poi confermata, nella seconda parte degli anni Trenta, dai circoli liceali e universitari che Sophie avrebbe cominciato a frequentare. Pur tuttavia, sulle prime la ragazzina fu iscritta, come tutti gli altri, alla gioventù hitleriana, da cui ben presto si distaccò.
IL MOVIMENTO
Decise quindi di prendere contatto con Die Weisse Rose, movimento proibito dal Reich. Fondato da Eberhard Köbel, esso si richiamava alla natura, ai miti del Nord, alla gioventù. Inoltre, Sophie rimase sempre più colpita dall’insegnamento evangelico. A maturare le sue convinzioni contribuirono anche i racconti del fratello Hans, che dopo vari arresti era stato mandato a combattere sul fronte orientale ed era inorridito dalle crudeltà perpetrate dalla SS. A quanto pare, un ruolo lo ebbe persino il fidanzamento di Sophie con Fritz Hartnagel, tenente della Wermacht. A sua volta, infatti, questi le raccontò gli orribili episodi di cui era stato testimone, le stragi di ebrei e non solo. A quel punto, la ragazza, il fratello e i loro amici decisero di agire: le discussioni teoriche nel ristretto circolo della “Rosa Bianca” non bastavano più, occorreva esporsi in prima persona persona, quale che fosse il prezzo.
Hartnagel cercò a suo modo di aiutarla. Prima con le informazioni e poi, dopo la tragica morte della ragazza, confortando la famiglia, forse sostenendola economicamente. Essendo un militare, doveva nascondere i suoi sentimenti verso la guerra. Tuttavia, dopo la sconfitta del 45, riprese i suoi studi giuridici e negli anni 50 ricoprì il ruolo di giudice. Nel frattempo, aveva sposato la sorella di Sophie, Elisabeth: dall’unione nasceranno quattro figli, fedeli alla lezione pacifista del padre e degli zii. Si trattava, però, di un pacifismo autentico, disposto a pagare con la vita la sua sfida alla dittatura.
LA SERENITÀ
Le ultime ore di Sophie, del fratello e di Probst furono drammaticamente veloci. La condanna a morte doveva essere eseguita poche ore dopo la sentenza. Ma i carcerieri concessero ai genitori di incontrare i ragazzi. La mamma aveva portato dei dolci e Sophie li mangiò, nonostante la situazione, perché era affamata. Poi si avviò al patibolo senza alcun apparente turbamento. «Ho imparato che un animo forte senza un cuore tenero non porta alcun frutto; lo stesso vale per un cuore tenero senza l’animo forte». È una delle frasi che più rispecchiano il suo animo e si trova in una lettera spedite in precedenza ai genitori. Il contenuto di alcuni dei volantini che le costarono la vita sarebbe arrivato durante la guerra in America, diventando un vessillo per le armate alleate che penetravano in Europa
Anche se si tratta di esistenze molto diverse, anche se una è storia vera e l’altra è letteratura, la fine di Sophie ricorda un po’ quella di Konradin von Hohenfels nel libro L’amico ritrovato di Fred Uhlman. «Implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato», si legge alla conclusione del racconto. Sempre Uhlman scrisse: «Il problema fondamentale non era più la natura della vita, ma ciò che di questa vita dovevamo fare. Come impiegarla? E per il bene di chi, il nostro o dell’umanità?». Quei giovani dettero una risposta generosa e inequivocabile al quesito.