la Repubblica, 1 agosto 2024
In morte di Roberto Herlitzka
Con la morte di Roberto Herlitzka, avvenuta ieri nella sua casa romana, s’è spento il volto più severo e asciutto, l’artista più ritroso e cerebrale, più implacabile e poetico che ha reso etici gli ultimi sessant’anni di scena e di cinema italiani. La fine di quest’uomo di spettacolo nato a Torino il 2 ottobre 1937 ferisce chi gli ha voluto bene, e portato devoto rispetto, nella certezza del suo magistero. Ma prima di soffermarci sui repertori della sua parabola artistica è il caso di esaltare la rara umanità di lui protagonista di grandi ribalte, teatri studi e set. Schivo, Roberto attestava un pudore che è dono delle persone contemplative e moderate. Ce ne aveva dato prova nei 17 appuntamenti al TeatroBasilica di Roma leggendo integralmente i canti della Commedia, concedendosi un memorabile commiato il 2 ottobre 2023 quando, dopo il film-sintesi ricavatone da Antonio Calenda e Mauro Conciatori, ha raccontato il perché culturale, linguistico e simbolico dell’impresa con la faccia scarna di un Beckett ragionante sulla propria vita.
Questo straordinario attore di cognome cecoslovacco (con antenati ebrei scappati dalla Boemia a Trieste, e poi a Torino) ha conosciuto molte epoche e traguardi. Partendo dalla spinta della madre e dalla libreria di casa, eccolo all’Accademia Silvio d’Amico, in aula con Eros Pagni e Carmelo Bene. Il maestro Orazio Costa lo diresse in una decina di lavori. Fu poi impegnato in due spettacoli di Luca Ronconi. Subito dopo, il fitto tirocinio con Antonio Calenda (per Shakespeare, Sofocle, Magris, Pirandello, e un copione di Gianni Borgna sulla fine di Pasolini). Si misurò con regie di Lavia, Squarzina, Missiroli, Stein. Per Lina Wertmüller impersonò a teatro nel 2004 l’unico suo ruolo femminile, una novantenne hitleriana in Lasciami andare madre.
Nel 2001 s’era proposto inEx Amleto, replicato vent’anni con sostegno di Ruggero Cappuccio, di cui recitò un Edipo a Colono. Nel 2007 interpretò un signore omosessuale inSolo RH che Vitaliano Trevisan scrisse per lui. Teresa Pedroni lo convinse a fare tre testi di Thomas Bernhard, cui seguì un perfetto Minetti diretto da Roberto Andò. Eccezionale il suo rapporto con una trentina di film: davanti alle cineprese lo condusse nel ‘73 Lina Wertmül-ler, poi prestò il suo volto a Aldo Moro in Buongiorno notte di Bellocchio
— lavorandoci anche in
Bella addormentata eSangue del mio sangue. Lo ricorda il regista: «Un gigante che aveva, oltre al talento di attore, una capacità rara: fuori dalla scena era un normalissimo, riservato signore, non seguiva l’ego». Splendido il suo cardinale ne La grande bellezza di Sorrentino. E come non legarlo a film intensi di Virzì, Taviani, Andò? E la tv, da La Certosa di Paviadi Bolognini fino al primattore costretto a scadenti fiction nel popolarissimoBoris.
Si giudicava nato vecchio, rimasto bambino. Era un signore gentile, delicato, convinto che la scena fosse la ragione della sua vita. Ora non recitava più, né aveva accanto la moglie Chiara defunta due mesi fa, e quella ragione se n’è andata. E noi siamo tremendamente soli. I funerali domani alle 10,30 nella chiesa di San Saturnino.