Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 01 Giovedì calendario

Gli Usa dicono che non erano stati informati della scelta di Israele



washingtonIl tempo che si è concessa l’Amministrazione Biden per formulare una risposta di senso compiuto all’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh la dice lunga su come la notizia sia stata accolta a Washington. I primi a intervenire sono stati Antony Blinken e Lloyd Austin. Da Singapore, il segretario di Stato sottolineava che gli Stati Uniti non sono stati «informati» né «coinvolti» nell’assassinio del leader politico di Hamas e, ribadiva, il cessate il fuoco a Gaza è «imperativo».Evidentemente, nell’incontro a Roma dei giorni scorsi per discutere dell’accordo, nessun accenno era stato fatto dal capo del Mossad, David Barnea, al direttore della Cia William Burns. Dopo Blinken, dalle Filippine, il capo del Pentagono assicurava che in caso di un nuovo attacco, gli Usa avrebbero aiutato Israele a difendersi. «Lo abbiamo fatto ad aprile, lo faremo di nuovo», diceva, ammettendo implicitamente la responsabilità israeliana dell’uccisione di Haniyeh, mentre il governo Netanyahu continuava a trincerarsi dietro il silenzio e mentre anonimi funzionari Usa e israeliani confermavano a Axios che chiaramente, dietro l’operazione di Teheran, c’era il Mossad.Sempre Austin, ribadiva che un’escalation «non è inevitabile». È quanto va ripetendo l’Amministrazione Usa dopo l’intensificarsi dello scontro tra Israele e Hezbollah, sfociato nell’uccisione a Beirut di Fuad Shukr. Poi, per lunghe ore, il silenzio della Casa Bianca. Nella West Wing devono essere risuonate come profetiche le parole pronunciate una settimana prima da Benjamin Netanyahu davanti al Congresso. La «vittoria totale» contro Hamas e il lungo passaggio dedicato all’Iran, «nemico comune» di Usa e Israele contro il quale «uniti vinceremo» non erano solo esercizi retorici. Joe Biden e Kamala Harris, che avevano incontrato separatamente il premier israeliano, devono essere rimasti spiazzati dal modo in cui Netanyahu ha alzato ancora una volta l’asticella dello scontro. Le loro pressioni per «chiudere» l’accordo per il cessate il fuoco e gli ostaggi a Gaza sono evidentemente caduti nel vuoto.Il sogno di Biden di chiudere la sua Presidenza con la “legacy” di un Medio Oriente sulla strada della pacificazione, con la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, appare ora irraggiungibile. Per Kamala Harris, particolarmente severa dopo l’incontro con Netanyahu, di fronte alla prospettiva di una «guerra totale» in Medio Oriente si complica la corsa per la Casa Bianca.Gli elettori più giovani e progressisti, oltre agli arabo-americani, potrebbero tornare a protestare ai comizi, come per mesi hanno fatto con Biden. Lo stesso Donald Trump, che prima di incontrare Netanyahu in Florida aveva auspicato che Israele mettesse «rapidamente» fine alla guerra, è rimasto in silenzio nelle ore successive al raid di Teheran. Il tycoon, che in campagna elettorale si sta proponendo come il Grande Pacificatore, non vuole inaugurare una sua eventuale nuova presidenza col peso di una guerra in Medio Oriente. A conferma dell’incertezza sul da farsi che regna a Washington in queste ore, le risposte imbarazzate fornite ai giornalisti nella briefing room della Casa Bianca da John Kirby, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale. «Non possiamo confermare o verificare» le notizie che giungono da Teheran, ha detto a chi gli chiedeva un commento. E poi, è «troppo presto» per dire quali saranno le ricadute sull’accordo per il cessate il fuoco a Gaza, ma «noi continuiamo a lavorarci». Una reazione minimalista, al limite della reticenza da parte di un’Amministrazione che da qui a breve potrebbe essere chiamata a fare nuovamente da scudo a Israele di fronte alla possibile rappresaglia iraniana. Un’ipotesi che allontana anche la prospettiva dell’invio all’Ucraina da parte degli Usa dei sistemi Patriot (fino a otto) attualmente dispiegati in Israele, di cui si è discusso nelle scorse settimane.