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 2024  agosto 01 Giovedì calendario

Le ultime 24 ore di Haniyeh

Le ultime ore di Ismael Haniyeh sono state quelle di un dignitario, legato ad impegni pubblici e con movimenti «in chiaro». Era atteso a Teheran per partecipare alle cerimonie in onore del nuovo presidente, Mohsen Pezeshkian, così come erano attese decine di delegazioni ufficiali. Eventi coperti da fotografi e tv che hanno documentato alcuni degli spostamenti dell’obiettivo.
Il dirigente in esilio di Hamas è arrivato il 30 dal Qatar, sua sede abituale, sotto la tutela dell’emiro. Nella capitale iraniana ha avuto un incontro con la Guida della Rivoluzione, l’ayatollah Alì Khamenei. Le immagini diffuse lo mostrano seduto su un divanetto insieme al leader della Jihad Islamica palestinese, Ziad al Nakhalah, poi negli appuntamenti successivi. L’abbraccio caloroso con Pezeshkian, il saluto alla platea con il segno di vittoria, infine la visita al Parco della Resistenza. Un video lo riprende preceduto da una delle sue guardie del corpo, Wasim Abu Shaban. È la cronaca di una lunga giornata in una città che, proprio per la ricorrenza, doveva essere protetta da un regime che sa di essere nel mirino ma ha svelato ancora una volta debolezze.
Chiusa l’agenda quotidiana, Haniyeh si sarebbe diretto verso una residenza per i veterani del conflitto Iran-Iraq, nella zona nord. Secondo il sito Amway Media, però, potrebbe essere andato a dormire nel complesso di Sadabad, sempre nella parte settentrionale. Un luogo ritenuto più sorvegliato e distante una ventina di minuti dalla foresteria di solito usata dagli emissari palestinesi, lungo il Boulevard Nelson Mandela.
Gli eventuali cambiamenti non hanno confuso chi voleva far fuori Haniyeh. Attorno alle 2, in piena notte, un ordigno (un missile dal cielo? O da una palazzina vicina? Drone?) non gli ha dato scampo, stessa sorte per Wasim Abu Shaban. Una ricostruzione ha aggiunto un particolare: ad un altro piano della palazzina riposava Ziad al Nakhalah, il capo jihadista, rimasto indenne. Seconda voce. Il cerchio di tutela era stato affidato alla Qods, la divisione che si occupa di operazioni clandestine e fa da cinghia di trasmissione con le fazioni sciite. Ha mezzi e potere, tuttavia non ha impedito che venisse liquidata la sua mente strategica, il generale Qasem Soleimani, falciato da un drone americano a Bagdad dove era appena sbarcato. Anche per lui il trasferimento è stato fatale. Terza voce. Lo ha tradito una delle guardie del corpo. Ipotesi che a volte sono messe in giro per aumentare lo sconcerto e l’imbarazzo per un rovescio avvenuto in un giorno simbolico per la Repubblica islamica.
Le complicità
La partecipazione ai festeggiamenti ha reso più facile il pedinamento dei «battitori»
È possibile che la partecipazione di Haniyeh ai festeggiamenti abbia reso più facile il pedinamento dei «battitori», uomini e donne incaricati di designare il target decollato da Doha e non da una pista tra i monti. Il Mossad ha una storia di omicidi mirati all’interno dell’Iran, operazioni iniziate fin dai primi anni 2000 e attuate con ogni tipo di mezzo. Pistole con il silenziatore, bombe magnetiche applicate alle auto, ammazzamenti camuffati da «incidenti», sabotaggi. Sono stati fatti fuori scienziati legati all’industria militare, rappresentanti dell’establishment, a volte figure poco note all’estero, però con ruoli importanti.
Restando ad un’epoca recente ricordiamo due episodi. Nel settembre 2020 i sicari prendono di mira Abdullah Ahmed Abdullah, alias Abu Mohammed al Masri, alto esponente di al Qaeda rifugiatosi a Teheran. Un favore – si è detto – degli israeliani alla Cia: il terrorista era accusato delle stragi in due ambasciate Usa in Africa. Pochi mesi dopo l’azione più complessa con l’imboscata al padre del programma atomico Mohsen Fakrizadeh. Lo hanno trafitto nonostante la scorta usando – è uno degli scenari più citati – una mitragliatrice guidata in remoto. Un’azione di grande portata perché ha dimostrato la capacità di arrivare ai bersagli più difficili. Un messaggio diretto ai successori di Khomeini.
La ripetizione dei colpi è la conferma di come il Mossad abbia a disposizione una rete di informatori e di elementi locali (spesso oppositori ai mullah) che «insegue» gli obiettivi. Inevitabile pensare a complicità, collusioni basate su una ricompensa oppure sull’avversione nei confronti del regime. I «volontari» non mancano. Curdi, azeri, minoranza araba, baluchi, mujaheddin offrono alternative alle missioni «bianche e blu», ossia quelle prevedono il ricorso a personale esclusivamente israeliano. Una scelta decisa, nel 2010, dall’allora capo del Mossad, Meir Degan, al fine di aumentare la pressione «fisica» sull’Iran.
Il pericolo è stato colto dai mullah che hanno reagito in modo non sempre compatto. Da un lato hanno denunciato la gravità delle infiltrazioni da parte del Mossad al più alto livello, dall’altro hanno esaltato l’attività di contrasto con arresti ed esecuzioni di presunte spie. L’omicidio di Haniyeh dice che la partita è ancora lunga