Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 01 Giovedì calendario

Tutte le volte che Israele ha ucciso il nemico

Uccidere i nemici di Gerusalemme, le menti e gli autori del terrore, ovunque essi siano: in Israele torna la strategia di Golda Meir dopo la strage dei suoi atleti alle Olimpiadi di Monaco del 1972 per mano di un commando palestinese. Quella campagna di vendette dall’Europa al Medio Oriente durò due decenni: si concluse soltanto con l’avvio del processo di pace all’inizio degli anni Novanta, dai negoziati segreti di Oslo fino alla storica stretta di mano del 1993 sul prato della Casa Bianca fra il premier israeliano Rabin e il capo dell’Olp Arafat.
L’obiettivo di fondo è sempre lo stesso: eliminare i nemici giurati dello Stato ebraico dovunque si trovino, come prezzo da fare pagare al terrore, deterrente e monito a chi pianifica attentati affinché sappia che prima o poi non resteranno impuniti. Ora la campagna è ricominciata, e quello odierno è il suo colpo più sensazionale, l’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, giudicato responsabile ultimo del pogrom del 7 ottobre. Un’operazione spregiudicata e carica di conseguenze, ma in un certo senso c’era da aspettarsela, come indicano mezzo secolo di precedenti di azioni simili da parte di Israele.
La scia di Monaco
Dopo il massacro di atleti israeliani ai Giochi Olimpici del ‘72 a Monaco, è l’allora premier Golda Meir a ordinare al Mossad una lunga serie di uccisioni di palestinesi collegati all’eccidio. Come racconta il film di Steven Spielberg “Munich”, un commando israeliano uccide dirigenti dell’Olp in Europa e in Medio Oriente, da Roma a Parigi, dal Cairo ad Atene, da Tunisi a Cipro: esecuzioni mirate, come si dice in gergo. Ma in un caso commettono un errore clamoroso, uccidendo in Norvegia un innocente cameriere arabo, scambiato per un capo del terrore palestinese. A una delle missioni più pericolose, per assassinare un leader palestinese a Beirut, partecipa il futuro premier israeliano Ehud Barak, che sbarca nella capitale libanese travestito da donna per non attirare l’attenzione delle guardie del corpo che proteggono l’obiettivo da eliminare. «Quando anni dopo diventai capo di stato maggiore dell’esercito», ci raccontò Barak in un’intervista, «la soldatessa che mi mostrò il mio nuovo ufficio era la figlia di uno degli atleti israeliani trucidati dai terroristi palestinesi a Monaco. Avrei voluto dirleche ero stato io a vendicare suo padre. Ma la nostra missione era ancora coperta dal segreto e tacqui».
L’incidente di Amman
Dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin per mano di un fanatico israeliano di estrema destra contrario alla pace con gli arabi, riprendono gli attentati e nel 1997 il nuovo premier israeliano Benjamin Netanyahu, per rispondere a una serie di attacchi terroristici, ordina al Mossad di assassinare Khaled Meshal, capo politico di Hamas, nella sua base ad Amman, in Giordania, il secondo Paese arabo (dopo l’Egitto) con cui Israele ha firmato un accordo di pace. Ma i due agenti israeliani che somministrano a Meshal un potente veleno vengono arrestati, il capo palestinese sopravvive, re Hussein di Giordania minaccia di stracciare il trattato di pace e Netanyahu è costretto a inviare ad Amman l’antidoto al veleno, salvando Meshal, oltre che a rilasciare dal carcere lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas, che torna a Gaza accolto come un eroe: verrà ucciso sette anni dopo. Dopo la morte per malattia di Arafat nel 2004, altri dirigenti di Hamas vengono eliminati da Israele a Gaza e altrove, ma ciò non porta al declino del movimento.
L’Iran nel mirino
Nel frattempo, Israele vede sempre più un nemico mortale nell’Iran, sia per il sostegno finanziario fornito a Hamas, sia per i piani di sviluppare centrali nucleari in grado di produrre armi atomiche. Tra il 2010 e il 2020, cinque scienziati nucleari vengono assassinati in Iran con varie tecniche, uno è ucciso a pistolettate da killer in motocicletta, altri da esplosivi nascosti nelle loro auto. L’Iran arresta alcuni cittadini iraniani accusati di essere informatori o complici di Israele. Come è sua abitudine, il governo di Gerusalemme non conferma né smentisce. Nel mirino non finiscono soltanto scienziati nucleari: nel 2020, su richiesta degli Stati Uniti, agenti segreti israeliani assassinano a Teheran Abu Muhammad Al-Masri, nuovo leader de facto di al Qaeda. Lo stesso anno il generale iraniano Qassem Soleimani, capo delle forze Al Quds, viene assassinato in Iraq da un drone americano, in un’operazione a cui secondo alcune fonti collabora il Mossad. E nell’aprile scorso, Israele elimina in Siria il generale Mohammad Reza Zahedi, un alto grado delle Guardie della Rivoluzione iraniana, con missili che colpiscono il consolato iraniano di Damasco, uccidendo anche un altro generale e cinque ufficiali di Teheran. Attacchi analoghi eliminano due capi di Hezbollah in Libano, l’ultimo poco prima del missile (o forse del drone), ben indirizzato da informatori sul posto, che ha colpito Haniyeh.
L’esecuzione del capo di Hamas a Teheran può compromettere i negoziati per il rilascio degli ostaggi a Gaza e per il cessate il fuoco, ma Netanyahu, come Golda Meir, voleva evidentemente lanciare un segnale, confermando la capacità israeliana di colpire i propri nemici ovunque siano: anche quando si sentono completamente al sicuro.