il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2024
Le criptovalute ingolosiscono: da noi raddoppia il numero di chi le possiede
Su un campione di 2.000 persone, tra il 2022 e il 2024 chi dichiara di possedere criptovalute è più che raddoppiato, passando dall’8 al 18%. Lo attesta l’ultima l’indagine della Consob sulle scelte di investimenti delle famiglie. Ma l’indagine attesta anche un dato che è l’altra faccia della medaglia: questa scommessa, condotta soprattutto nel breve termine per “aumentare il capitale” non sempre è associata a un’effettiva conoscenza delle caratteristiche (e dei rischi) dei token digitali. Un problema che interseca anche la politica Usa.
La Consob, guidata da un presidente “non prevenuto” contro il mondo blockchain come Paolo Savona, spiega che (proprio come nel 2022) tra i fattori che possono incentivare l’acquisto di criptovalute emergono l’opportunità di un guadagno immediato e la possibilità di diversificare il portafoglio. Il grado di diffusione delle criptovalute è associato a una elevata familiarità: l’86% degli intervistati dichiara di averne almeno sentito parlare. Ma tra “averne sentito parlare” e sapere davvero di cosa si tratta ne passa. Una quota che oscilla tra il 23% e il 50% di quell’86% di intervistati non sa rispondere ai quesiti di base sulle caratteristiche principali delle cripto-valute.
La “criptomania” che impazza in Italia è spinta infatti da un variegato meccanismo di montatura pubblicitaria che dura da anni, tra sedicenti esperti che altro non sono che imbonitori interessati e spesso in conflitto di interesse, social network imbottiti di fake news, siti online che spacciano previsioni farlocche per informazione scientifica. Difatti è la stessa Consob a rilevare che quando si tratta di scegliere come impiegare i propri risparmi, i social media (il 36% degli intervistati si “informa” qui) battono i giornali della carta stampata e del web (34%) e si collocano al terzo posto, dopo Internet (67%) e Tv (43%), nella graduatoria delle fonti di informazione più usate dalle famiglie. All’ultimo posto i siti delle istituzioni finanziarie, seguiti solo dal 33% degli investitori. La rilevanza dei social come fonte d’informazione finanziaria è maggiore per i giovani fra i 18 e i 34 anni (il 58%), per le donne (42% contro il 34% degli uomini), per le famiglie con piccole somme (41%) e coloro che hanno un basso livello di educazione finanziaria (55%). Ecco perché fanno presa messaggi come questo diffuso da un laureato in economia che si presenta come “consulente blockchain, cryptomonete e operazioni aziendali, referente Italia Svizzera per operazioni fintech e negoziazione strumenti finanziari”: “Il bitcoin è oro digitale, programmato per essere tale, e ha da ormai 15 anni dimostrato nei fatti di essere tale”. Ma l’oro, a differenza del bitcoin, non ha mai perso un quinto del suo valore in pochissimi giorni.
I dati della Consob sono in linea con quelli dell’Oam, l’organismo pubblico al quale sono delegate le funzioni di centrale di raccolta delle informazioni e autorizzazioni per gli intermediari cripto in Italia: a marzo erano 1,3 milioni gli italiani che possedevano criptovalute, in aumento del 13% su base annua. A quanto pare, dunque, sono caduti nel vuoto sia gli appelli alla prudenza lanciati dalla Banca d’Italia che i richiami alle regole sempre più severe in vigore anche nel nostro Paese per investitori e broker, specie sul fronte fiscale e antiriciclaggio.
Ma il dibattito sulla funzione e la sicurezza delle criptovalute non è confinato all’Italia. Sabato 27 luglio Donald Trump ha annunciato che, se tornerà alla Casa Bianca, userà i bitcoin accumulati dal governo Usa nei sequestri giudiziari come “riserva strategica nazionale” e ha promesso di trasformare gli Stati Uniti nella “capitale mondiale delle cripto” e di non far “produrre le criptovalute altrove”. Un’affermazione priva di senso, che dimostra l’ignoranza della materia: innanzitutto la tecnologia blockchain è decentralizzata e non può essere regolata o limita da un ente solo. Alan Goldberg, analista di criptovalute di BestBrokers, spiega poi che “già oggi gli Usa sono leader nei consumi di elettricità usata per “estrarre” bitcoin, con il 37,9% dei 384,48 gigawattora usati quotidianamente nel mondo. Se tutte le cripto fossero realizzate negli Stati Uniti, la rete elettrica semplicemente non sarebbe in grado di gestirle”.