la Repubblica, 31 luglio 2024
Addio al “Propaganda” tempio della musica house e simbolo della Russia che guardava a Ovest
Il popolo della notte ondeggia all’unisono per l’ultimo ballo. Non è una danza scatenata, ma un’onda. Un dondolio del capo. Un oscillare delle mani. Come un saluto dal molo a una nave in partenza. Sasha leva il suo Gin Tonic in alto. «Al Propaganda!», grida. «Al Probka!», rispondono Dima e Marina. Un brindisi che ha il sapore dolceamaro della nostalgia. Dopo 27 anni, chiude il Propaganda, Propka o anche ironicamente Probka, “Tappo”, per i moscoviti, uno dei più antichi club della capitale a pochi passi dalla sede dell’amministrazione presidenziale. Un posto «cult», «leggendario», rampa di lancio per dj di fama mondiale come Nina Kraviz. Eppure ritrovo «democratico» per eccellenza. Bar di giorno, discoteca di notte. Ingresso libero, atmosfera casual e prezzi abbordabili: da 350 rubli, circa 4 euro, per una birra a 520 per un cocktail. Selezione all’ingresso sì —face control dicono in russo – ma soltanto per allontanare gli ubriachii.
«Eravamo soliti scherzare che al Propaganda sarebbero venuti i figli di quelli che, come me, erano qui in fila nel 1997. Da tempo non era più uno scherzo», osserva Sasha, 46 anni, indicando i tanti capannelli di ventenni in sneaker e t-shirt. È venuto a dire addio al club che, alla fine degli Anni ’90, fece scoprire la cultura della vita notturna ai giovani della Russia neonata dopo il crollo del Muro e dell’Urss. Allora la musica dance statunitense ed europea che rimbombava fino alle 6 del mattino, sembrava battere al ritmo del disgelo delle relazioni con l’Occidente. «È la fine di un’era», continua Sasha irradiato da una luce rossa che si riverbera sulle geometrie industrial dei tubi sul tetto e dei mattoncini alle pareti. «Il Rabitza ha chiuso per i continui blitz. Il Mutabor è stato travolto dallo scandalo per la festa “quasi nudi”. Il Simachev è stato demolito e il Djaghilev bruciato. Sembrava che soltanto il Propaganda sarebbe rimasto. Non è andata così».
«Era il mio locale preferito», dice la ventenne Irina, un boccale di birra in mano e gli occhi fissi sul dj. La musica è la stessa che passa in tutte le discoteche del mondo. Le bevande pure. A uno sguardo superficiale, la vita a Mosca sembrerebbe scorrere uguale. Al suo trentesimo mese, la cosiddetta Operazione militare speciale è oramai soltanto rumore di fondo. Che si può silenziare conun clic di telecomando. Ci sono teenager che giocano a ping-pong a Vinzavod, altri che sorseggiano un caffè agli Stagni del Patriarca e ragazze che organizzano addii al nubilato in barca sulla Moscova. Ma nella Russia in guerra con l’Occidente collettivo e con l’Ucraina, in profondità tutto è cambiato e nulla è più per sempre. La quotidianità è diventata un eterno commiato o una lotta per salvaguardare gli ultimi spazi di resistenza. La band Korrosija Metalla ha sospeso i suoi concerti dopo essere stata accusata di “propagandare il nazismo” col suo merchandising. I veri neonazi, però, sono quelli piombati a Hippjatnik, annuale ritrovo dei figli dei fiori. Mentre la polizia ha fatto irruzione al festival musicale Make Ugar Great Again e alla convention anime Star Con. Tutto ciò che è alternativo finisce nel mirino. Sopravvive soltanto chi si adegua al mood ultrapatriottico e militaristico del momento. Il prossimo weekend, allo stadio Luzhniki, si aprirà il festival Picnic, ma, alla sua 20esima edizione, deve accontentarsi di pompare l’arrivo «direttamente dagli Usa» del rapper Azizi Gibson e della band Brazzaville dell’ex sassofonista di Beck, mentre un tempo vantava ospiti internazionali del calibro di Courtney Love o dei Kaiser Chiefs. Il 19enne Sergej protesta: «Un pezzo alla volta, ci stanno rubando la nostra gioventù».
I fondatori del Propaganda, Kirill Saldadze e Aleksandr Ovsjannikov, non hanno dato una ragione per l’addio. «Il Propaganda è orgoglioso di essere riuscito a diventare una piattaforma per l’autoespressione e la creatività. Grazie per questi anni incredibili. È stato magico», si sono limitati a dire. Ma molti nella minuta sala del club, 400 posti appena, sospettano che la sua filosofia inclusiva e i suoi party Lgbt della domenica “China Town”, così chiamati in onore del quartiere Kitaj Gorod, non fossero più in linea con la nuova atmosfera. Già un anno fa erano stati aboliti i “Giovedì di Sanchez” che da 25 anni davano inizio al weekend. E quest’ultimo party del 28 luglio vede avvicendarsi ai piatti gli storici dj della domenica Tony Key, Slava e Thierry Thomas, ma non ha più nulla delle trasgressive “serate gay”. «Ho trascorso intere giornate qui. Venivo all’ora di pranzo e poi mi fermavo a ballare fino al mattino. Molte mie coppie di amici si sono conosciute qui», commenta la trentenne Elena, anche lei in coda al numero 7 di Zlatoustinskij Bolshoj Pereulok per lalast dance, posledniy tanets, l’ultimo giro di pista di una generazione. Quando la guardia all’ingresso le appone con un timbro un quadratino blu sul palmo della mano, lo sfiora e aggiunge: «Lavarlo via stavolta sarà dire addio a un pezzetto di storia».