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 2024  luglio 30 Martedì calendario

Chi ci guadagna con la Cina

In bilico fra le opportunità di crescita e la necessità di ridurre la sua dipendenza dalle importazioni cinesi, l’Europa è alla ricerca di una relazione più equilibrata con Pechino. Per ora, la bilancia resta a favore del Dragone ma non è così per tutti i Paesi.
La Cina è, oggi, il più importante partner commerciale dell’Ue. Il “sorpasso” sugli Usa è avvenuto nel 2020, soprattutto per la fornitura dei dispositivi di protezione individuale durante la pandemia.
Nel 2023, Europa e Cina si sono scambiate merci per un valore – fra import ed export – pari a 739 miliardi di euro (dati Eurostat). Ma il disavanzo commerciale europeo con Pechino – sebbene in calo rispetto alla cifra “monstre” di quasi 400 miliardi di euro nel 2022 – ammonta tuttora a 291 miliardi di euro.
Proviene dalla terra del Dragone, in media, il 20,5% dei beni importati nel Vecchio continente (in confronto, la “dipendenza” degli Usa da merci cinesi si ferma al 12,7%).
A valore, sono i Paesi Bassi a detenere il record di importazioni dalla Cina: più di 116 miliardi di euro nell’ultimo anno. Seguono Germania (94 miliardi di euro) e, al terzo posto, l’Italia (47 miliardi).
A trainare l’import cinese ci sono soprattutto beni del settore high tech quali semiconduttori e chip, oltre a componenti per la transizione verde come le batterie elettriche per le auto e altri prodotti. E ancora, componenti per le energie rinnovabili. L’Europa, inoltre, è fortemente legata all’import di materie prime critiche e terre rare, oggi indispensabili per qualsiasi applicazione tecnologica. Anche per questo il Vecchio continente punta a ridurre il suo fabbisogno dalla Cina, riequilibrando il mix di provenienza per evitare di essere a rischio approvvigionamento da un solo paese (come, per intenderci, è avvenuto per il gas russo).
Sul fronte delle esportazioni, invece, Pechino resta il terzo mercato di destinazione delle merci europee. Qui, si piazza in testa la Germania con più di 97 miliardi di euro. Come noto, il boom delle merci tedesche è una solida realtà da ormai molti anni, facendo di Berlino il primo attore europeo sul mercato cinese. La stragrande maggioranza di beni importati da Pechino si riferiscono a quattro macro settori ovvero meccanica strumentale, automotive, farmaceutica, elettrotecnica ed elettronica. A seguire, fra i paesi che esportano di più in Cina, ci sono Francia e Paesi Bassi.
Quanto al «made in Italy», l’export tricolore in Cina sfiora i 20 miliardi di euro. Si tratta, per lo più, di macchinari, prodotti tessili e abbigliamento, sostanze e prodotti chimici, mezzi di trasporto, articoli farmaceutici. Fra i prodotti nostrani “vincenti”, anche molti del settore agroalimentare (pasta, olio d’oliva, formaggi, vini e spumanti).
Solo quattro paesi europei, però, registrano un surplus commerciale ovvero esportano sul mercato cinese, in valore, più di quanto importano da Pechino e sono Germania, Finlandia, Irlanda e Lussemburgo. Per tutti gli altri, Italia compresa, l’interscambio premia la Cina.
Venendo agli investimenti diretti cinesi in Europa, dopo un exploit legato ai progetti della nuova “Via della Seta” lanciata nel 2013, Pechino ha rallentato la sua corsa.
Fra il 2016 e il 2017, il Dragone ha “speso” ben 85 miliardi di euro in fusioni e acquisizioni nel Vecchio continente soprattutto per entrare nelle attività dei grandi porti europei. Nell’ultimo biennio, invece, il flusso dei capitali è stato in parte dirottato verso il sostegno alla crescita interna gravata dalla pesante crisi immobiliare. Nonostante un lieve aumento nel 2022, dunque, lo shopping cinese in Europa si è arrestato a 10 miliardi di euro.
A beneficiarne di più, in questo caso, sono stati i Paesi Bassi (per via di Rotterdam), la Germania, la Francia e il Regno Unito. Da soli, questi ultimi paesi hanno attratto circa il 40% delle risorse cinesi. Diversi i comparti di investimento: se nel 2012 il 63% dei capitali cinesi era destinato a infrastrutture, settore immobiliare ed energetico, oggi più della metà di questi sono indirizzati nell’automotive. Finora, infatti, una buona parte delle importazioni europee dalla Cina hanno riguardato vetture di gruppi automobilistici “esteri” che avevano aperto impianti di produzione su suolo cinese come Tesla (che ne ha uno a Shanghai), BMW e Dacia. Oggi, viceversa, i marchi cinesi si stanno affacciando sul mercato europeo per conquistarlo.
Secondo la società di ricerca indipendente Rhodium Group, inoltre, sta cambiando la modalità di “ingresso” nel Vecchio continente: se prima si procedeva per acquisti o partecipazioni, oggi si preferisce aprire sedi o filiali di imprese cinesi. Per arginare la concorrenza sleale di Pechino – stando a un recente calcolo del Wall Street Journal, fra il 2009 e il 2022, la Cina ha speso circa 173 miliardi di dollari in sussidi per sostenere il nuovo settore dei veicoli elettrici e ibridi plug-in – l’Europa ha, come noto, imposto dazi all’import di auto dalla Cina. Ma non è un mistero che la misura non piaccia a tutti, a partire dalla Germania.