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 2024  luglio 30 Martedì calendario

La frana di Berlino ha portato a valle l’invidia per gli ingaggi esagerati dei giocatori e il fastidio per i post dalle vacanze Ecco perché sono amati i sergenti di ferro


Qualche giorno fa Marco D’Ambrosio, il geniale disegnatore di Propaganda Live noto come Makkox, ha pubblicato un esilarante post sui metodi del suo nuovo allenatore, uno che lo esalta perché allena i giocatori in modo talmente duro da farli vomitare. Antonio Conte non viene mai citato, ma i sentimenti di Makkox nei confronti del Napoli sono scoperti e il suo ironico apprezzamento fa scopa con i resoconti sempre più spaventosi in arrivo dal ritiro partenopeo, descritto come un inferno di fatica, sangue, sudore e lacrime. Makkox se ne dichiara entusiasta, salvo adirarsi con un amico (si suppone juventino) che gli assicura che anche il suo nuovo tecnico, un italo- brasiliano facilmente riconoscibile in Thiago Motta, usa allenare i giocatori fino allo sfinimento e oltre. Vomitano pure loro, giura l’amico. La discussione assume toni sempre più comici, tra accuse di plagio ed elogio dei reflussi gastrici: e il messaggio finale di Makkox – “vedremo a fine campionato chi avrà fatto vomitare di più” – è di illuminante ambiguità.
Se è vero che il buon umorismo fa sempre il verso alla realtà, il post di D’Ambrosio deride il desiderio di “punire” i propri giocatori che non è certo nuovo, ma quest’anno sta assumendo dimensioni inaudite, e sì che deve ancora partire lo tsunami quadriennale dei campioni olimpici francescani in opposizione ai calciatori scarsi e viziati. Il calcio è un mondo in cui uno vince e tutti gli altri perdono, il piazzamento non è previsto. Fosse solo così, poco male. In fondo anche alle Olimpiadi stiamo assistendo a una svalutazione delle medaglie che non sono d’oro (il rimpianto di Ganna, la rabbia fredda di Miressi): ti fai il mazzo per anni, ci sta di rosicare se nel giorno designato non riesci a esprimerti al massimo, com’è riuscito invece a Martinenghi. Il problema culturale del calcio, però, è salito (o meglio sceso) di livello: uno vince e tutti gli altri non solo perdono, ma si devono vergognare. E quindi devono espiare. Un tempo il centravanti sconfitto evitava di farsi vedere in discoteca domenica sera, meglio non incrociare un gruppo di tifosi amareggiati (diciamo così). L’istituzione dei privé – spesso protetti dagli stessi tifosi, non più amareggiati ma stipendiati – ha risolto questo problema logistico, ma la diffusione dei social l’ha amplificato in senso filosofico: non succede più di perdere perché gli avversari sono stati migliori, ma perché non ce l’hai messa tutta, non ti sei allenato con coscienza, non rispetti la squadra e soprattutto il tuo allenatore non ti costringe a farlo. Siamo tutti d’accordo sul fatto che la scorsa stagione del Napoli sia stata penosa: Conte era la migliore scelta disponibile per il gioco che sa sviluppare, ma di questo se ne parlerà più avanti, oggi entusiasma per i carichi di lavoro massacranti che richiede ai suoi uomini. Più sottile ancora: a suo tempo Aurelio De Laurentiis aveva già portato a Napoli un totem del calcio europeo come Carlo Ancelotti, ma essendo quello troppo signore gli era venuto naturale defenestrarlo in un momentodi contraggenio. Conte è meno milord, gli ringhierebbe contro per dissuaderlo, e questa è una cosa che rassicura. Si diceva di Thiago Motta: che i suoi metodi facciano vomitare dalla fatica o meno, tutti ci aspettiamo una Juventus più “lavorata” e meno “semplice”, per usare il termine caro a Max Allegri. Tante ore di esercitazioni per apprendere i codici di un calcio molto più organizzato, perché il vero mistero della scorsa stagione è dove sia finita l’enorme quantità di tempo concesso dall’esclusione dalle coppe europee. In campo non si è vista.
Il Milan alla fine ha chiuso il campionato al secondo posto: il cosiddetto piazzamento d’onore non ha salvato Stefano Pioli dall’esonero, e il suo sostituto Paulo Fonseca è atteso al varco con una certa diffidenza. Si può discutere all’infinito del suo palmares – inadeguato per il Milan di trent’anni fa, non per questo – non della sua ottima educazione, pari peraltro a quella di Pioli. E infatti il frontman ad usum tifosi è Zlatan Ibrahimovic la cui postura, espressa peraltro con un’ironia non a tutti accessibile, contiene sempre qualcosa di intimidatorio. “Se non sudano la maglia, quello li mena” è il sussurro popolare, anche se le conoscenze tecniche di Zlatan verosimilmente valgono qualcosa di più. C’è poi il discorso del mentore severo in grado di riuscire dove altri hanno fallito: Gian Piero Gasperini ha estratto il meglio da talenti dispersi come il Papu Gomez e Ilicic, ha ricostruito progetti traballanti come Scamacca e De Ketelaere, diamogli allora Zaniolo per la gloria dell’Atalanta e – madre di tutti i discorsi – della nazionale italiana. Perché alla fine la voglia di vedere i giocatori sfasciati dalla fatica, latente in chi non ha vinto nulla col proprio club, è esplosa con la figuraccia degli azzurri in Germania. La frana di Berlino ha portato a valle di tutto, l’invidia per certi ingaggi esagerati, il fastidio per certi Instagram inopportuni, la pena per certi post delle compagne, la rabbia per certo menefreghismo diffuso. Se dopo le delusioni patite lungo la stagione non sei capace nemmeno di regalarmi un po’ di frescura estiva – partita e anguria, un classico – allora voglio vederti vomitare.