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 2024  luglio 30 Martedì calendario

L’amico della vittima l’avvocato e il medico così è ripartita la caccia al mostro di Firenze


FIRENZE – «È un long rifle, è una grande scoperta». Era il 23 dicembre del 2015, quando i carabinieri del Ros estrassero dal cuscino della tenda di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, ultime vittime del mostro di Firenze, un proiettile non andato a segno e rimasto nascosto per 30 anni. Un momento cruciale (documentato in video) nella storia delle indagini sul killer delle coppiette, ancor più oggi dopo le rivelazioni dell’avvocato Vieri Adriani – che assiste i familiari delle vittime francesi – sulla presenza di un profilo di Dna sconosciuto sullo stesso reperto, che ricorrerebbe in modo parziale su altri proiettili usati nei duplici delitti del 1983 e del 1984, tanto da far pensare alla “firma” del mostro. I carabinieri del Ros, quel giorno, rimontarono la tenda a caccia di tracce e subito l’attenzione cadde su un particolare, un cuscino che presentava un foro di proiettile solo da un lato. Aprirono allora il cuscino con un bisturi, trovandosi davanti un’ogiva. «È lì da 30 anni», una delle vociraccolte nel video. La scoperta permise di accertare la compatibilità con la Beretta calibro 22 usata nei delitti, aprendo al tempo stesso un nuovo fronte legato agli accertamenti scientifici. «Da anni chiedevamo di controllare la tenda, abbiamo sempre sostenuto che mancasse un proiettile», racconta l’avvocato Adriani. Gli fa eco Salvatore Maugeri, amico di infanzia di Jean Michel (suonavano nella stessa band) e altra figura centrale nella storia. Perché Maugeri, oggi sociologo in Francia, si è dedicato al caso senza mai fermarsi, sostenuto tra gli altri dalla figlia di Nadine. E con il tramite di Adriani ha presentato nel tempo innumerevoli richiese alla procura, ultima delle quali la restituzione delle foto scattate da Nadine durante i giorni di vacanza in Toscana prima del delitto: foto mai ritrovate, neanche dopo l’apertura, nel gennaio scorso davanti alla Corte d’assise, di alcuni scatoloni contenenti reperti del delitto. «Questa del Dna sconosciuto è una novità sconvolgente – commenta Maugeri-. Sono sorpreso, ma anche felice perché non ci siamo mai arresi, avevamo capito che mancava un proiettile dopo aver studiato la dinamica con uno specialista. Spero che non sia un’altra prova inquinata, i parenti delle vittime sono delusi dalla giustizia italiana che non ha trovato la verità e non ha avuto empatia nei loro confronti. La madre di Jean Michel – aggiunge – è morta tre settimane fa, a 93 anni, solo la fede l’ha aiutata a reggere tutto questo». L’avvocato Adriani, intanto, annuncia, nuove «indagini difensive», ritenendo «auspicabile» una seconda autopsia sul corpo di Stefania Pettini, uccisa il 14 settembre 1974 insieme al compagno Pasquale Gentilcore dopo aver lottato con l’assassino e dunque in ipotesi l’unica a poter conservare sul corpo una traccia del mostro. «Pure Jean Michel aveva lottato – ricorda ancora Maugeri – Per questo le sorelle in passato avevano pensato di chiedere la riesumazione e un’altra autopsia, poi non se ne fece di niente».
Nelle prossime settimane, intanto, potrebbe approdare in procura la consulenza dell’immunologo Lorenzo Iovino, in cui si dà conto della presenza del profilo “sconosciuto 1” sul proiettile di Scopeti. «Voglio ribadire che il mio lavoro si basa su quello, impressionante, fatto all’epoca dal professor Ricci e dalla sua equipe per conto della procura – spiega Iovino —. Mi sono limitato a una lettura critica dei fascicoli, non sappiamo se questo Dna sia dell’assassino o se sia utilizzabile per confronti, di certo, se non è frutto di una contaminazione accidentale, potrebbe tornare utile per comparazioni future». Poi una riflessione, legata all’altra traccia di Dna rinvenuta all’epoca in una tasca del pantalone di Jean Michel: «Di certo, se non si tratta di contaminazioni, abbiamo due diversi Dna ignoti a Scopeti. Non sarebbe la prima volta che viene ipotizzata la presenza di più persone in quel delitto».